P er Giuseppe Conte «non bastano le riforme, dobbiamo reinventare il Paese». Ma forse sarebbe il caso di accontentarsi di qualche riforma ben fatta. Invece dagli Stati Generali il premier esce portando a casa solo una vaga promessa di revisione dell'Iva: una misura a brevissimo termine, con il chiaro obiettivo di dare ossigeno ai consumi, ma costosa per l'erario.

La pandemia è un evento straordinario e nel nostro Paese ha prodotto straordinari proclami. La azioni non sono però apparse all'altezza dell'uno e degli altri. Sin da subito la discussione è girata attorno al tema della solidarietà europea. L'obiettivo è stato quello di attingere quanto più possibile a schemi di debito comune, per ridurre il costo del nuovo debito. Per ragioni politiche, si è scelto di non bussare alla porta del Mes, il fondo salva Stati, che pure ci veniva spalancata.

Ciò non solo significa rifiutare un prestito a condizioni più convenienti di quelle di mercato, ma è pure un modo per evitare di ragionare sul nostro sistema sanitario. I fondi Mes consentirebbero di migliorarne l'infrastruttura, di ragionare su come rifare ospedali e presidi di varia natura, di pensare eventualmente di sostenere un investimento in “sovracapacità” per reggere meglio l'urto di altri eventi epidemici. Ha senso pensarci? In Italia un dibattito non si è mai davvero aperto. Avere aumentato i posti in terapia intensiva ci sembra una misura sufficiente. Medici e infermieri si sono guadagnati qualche prima pagina e qualche onorificenza.

A desso siamo tutti pronti a dimenticarne gli sforzi, fino alla prossima emergenza. Intanto si continua a non comprendere quali siano le cose che l'esecutivo ha in animo di fare. Sappiamo che vuole spendere tanti soldi: ma come? Perché? A quale scopo? Con quali obiettivi?

Se gli Stati Generali convocati dal primo ministro a Villa Pamphilj dovevano servire a chiarirci le idee, così non è stato. L'obiettivo però era ben definito e in buona sostanza consisteva nel far digerire alle parti sociali una medicina che il governo aveva già scelto. Non erano convention ma momenti di rammendo di una narrazione condivisa, nei quali decisioni di modernizzazione potevano trovare spazio nonostante i molti contropoteri che, in Italia, possono sempre provi un veto.

Questa volta non è stato così. Conte e i suoi sono apparsi serenamente sprovvisti di qualsiasi idea sul futuro del Paese. Sarà pure da “reinventare”: ma come? Le proposte di Confindustria e sindacati sono state ascoltate senza neanche fingere uno sforzo di sintesi. Nel frattempo il Paese continua a lamentarsi per i problemi legati all'erogazione delle risorse già stanziate, garanzie sui prestiti alle imprese e cassa integrazione. L'andamento dell'epidemia è scomparso dalle prime pagine dei giornali ma le informazioni fornite a comunità scientifica e opinione pubblica restano carenti. C'è un grande sforzo per evitare il tracollo del turismo, all'inizio della stagione, ma ogni tanto sembra quasi che lo si stia facendo con la strategia dello struzzo, anziché con quel “test and tracing”, con quella capacità di mappare il contagio in tempo reale, che è parsa, in Paesi molto diversi (dalla Germania alla Corea del Sud) l'unico modo per limitare i danni.

L'impressione è che abbiamo un governo che promette tanto ma ha scarso interesse nel fare le cose che più urgentemente dovrebbe fare. Anche perché spesso non sono manovre spettacolari. E tuttavia è necessario per riavviare l'attività economia, dando qualche certezza in più agli operatori: che è poi quel che lo Stato dovrebbe fare, prima di esercitarsi in nuove “reinvenzioni”. Perché non succede? Il governo ha sempre meno tempo per smentire il più atroce dei sospetti: che non lo facciamo perché non ne siamo capaci.

ALBERTO MINGARDI

DIRETTORE DELL'ISTITUTO

“BRUNO LEONI”
© Riproduzione riservata