Via da ieri a Tianjin al vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO): a riunirsi ed incontrarsi più di venti capi di stato e di governo e dieci capi di organizzazioni internazionali. Neppure computati gli Stati Uniti Uniti d’America e l’Unione Europea. E probabilmente sarebbe financo esercizio ozioso chiedersi il perché. La Shanghai Cooperation Organization sembra volersi proporre agli occhi del mondo globalizzato come realtà economico-politico-militare complessa, alternativa alle oramai note e un po' decadenti organizzazioni a trazione occidentale come ad esempio la NATO, quasi a voler dimostrare che in particolar modo Mosca e Pechino non saranno mai realmente isolate a livello internazionale.

D’altra parte, lo stesso Donald Trump, in occasione dell’incontro tenutosi in Alaska, ha riabilitato a tutti gli effetti Vladimir Putin sul piano delle relazioni internazionali camminando fianco a fianco insieme a lui su un tappeto rosso preparato per la circostanza. Tuttavia, il dire oggi se la Shanghai Cooperation Organization sarà davvero in grado di rafforzare uno “sbarramento” capace di presentarsi come alternativa di contrapposizione agli Stati Uniti e all’Unione Europea (indebolita, quest’ultima, sul piano interno per non essere a oggi riuscita a realizzare l’ispirazione federalista traducendosi in un vero e proprio soggetto politico), è cosa ardua seppure verosimile. Tanto più allorquando la maggiore caratterizzazione interna de la Shanghai Cooperation Organization sia costituita proprio sulla base ed in forza delle differenti anime e culture che la compongono, le quali, pur nelle loro molteplici diversità paiono riuscire a convivere spinte dal comune e condiviso interesse a diventare una forza di contrasto sempre più anti-occidentale per essere idonea a porsi in contrapposizione all’egemonia statunitense.

Una considerazione valga su tutte siccome emergente dalla ridetta composizione stessa de la cosiddetta SCO: lo sviluppo del pensiero politico insito nella Shanghai Cooperation Organization, e nei suoi articolati assetti promo-istituzionali “formandi” ancora in divenire per trovarsi allo stadio neppure embrionale, paiono l’inevitabile prosecuzione, quasi fosse condizione obbligata, dello sviluppo sul piano economico dei Paesi che ne fanno parte. Tradotto in soldoni, se la Shanghai Cooperation Organization riuscisse a confermare il proprio ruolo di contrapposizione, allora, di conseguenza, gli Stati Uniti d’America perderebbero il loro appeal rispetto ai Paesi cosiddetti emergenti del Sud del Mondo, e, per converso, la Cina di Xi-Jin-Ping si porrebbe, consolidandosi, ed a tutti gli effetti, quale punto di riferimento solido e certo quanto meno sul piano dello sviluppo economico.

L’Asia sembrerebbe aspirare nel medio-lungo periodo a divenire il rinnovato ed innovativo centro del Mondo. Sembrerebbero offrire conferma di siffatta aspirazione eventi come la recente adesione dell’Iran alla Shanghai Cooperation Organization che, stante l’andamento del conflitto medio-orientale, parrebbe incidere sulla stessa caratterizzazione geopolitica dell’organizzazione medesima nel suo essere, o voler essere, alternativa all’Occidente di Donald Trump, il quale, con le sue politiche economiche caratterizzate dai pesanti dazi commerciali, pare ne abbia accelerato il processo.

“Panta Rei”, “tutto scorre”, diceva Eraclito, a significare che ogni cosa è in continuo cambiamento. E tutto sembra cambiare rapidamente.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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