Si è concluso con 28 persone condannate all'ergastolo il "processo del decennio" andato in scena nelle Filippine e relativo alla strage di 58 persone avvenuta nel 2009 a Maguindanao, nel sud dell'arcipelago, nell'ambito di una faida politica locale.

La sentenza è vista come un passo storico per contrastare la storica impunità di cui godono influenti clan locali nel Paese.

Il 23 novembre 2009, un convoglio di giornalisti e parenti di Ismael Mangudadatu - che sfidò l'egemonia del clan degli Ampatuan candidandosi a governatore provinciale - cadde vittima di un'imboscata. Le vittime - tra cui 32 giornalisti - furono prelevate dai veicoli, messe in fila e uccise a colpi di arma da fuoco, per poi essere sepolte in una fossa comune. La spregiudicatezza dell'agguato, maturato con la connivenza delle forze di sicurezza locali, scioccò il Paese.

Mangudadatu, che oggi siede in Parlamento, fu poi eletto governatore.

Cinque membri del clan degli Ampatuan - che hanno annunciato di voler fare ricorso - sono tra i condannati all'ergastolo. Per altri imputati le pene vanno dai sei ai dieci anni di reclusione.

La sentenza di primo grado, per quanto ben accolta dalle organizzazioni per i diritti umani e i parenti delle vittime, non potrà però portare a una piena giustizia, né all'eliminazione della paura di vendette. Si calcola infatti che un'altra ottantina di sospettati - tra cui 12 Ampatuan - rimangano latitanti, e che almeno quattro testimoni contro gli Ampatuan siano stati uccisi in questi dieci anni.

(Unioneonline/v.l.)
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