Sana Cheema aveva 26 anni. Viveva a Brescia e aveva cominciato a lavorare a Milano, dove aveva conosciuto un ragazzo col quale faceva progetti di nozze. Poi lui era andato in Germania per lavoro, e lei era partita per una vacanza nel suo paese di origine, il Pakistan.

Sarebbe dovuta rientrare, ma a un certo punto i suoi amici italiani non l'hanno più vista né sentita. Girando in Rete si erano imbattuti nel video del funerale della loro amica: morta per un incidente domestico. Questa la versione dei famigliari.

Uccisa perché si era rifiutata si sposare un uomo scelto dalla famiglia, la versione successiva alle indagini che erano state aperte anche con la riesumazione del corpo della giovane. Erano finiti a processo il padre, il fratello, la madre e altri parenti. Il padre, con cittadinanza italiana, aveva poi confessato di averla strangolata con la'iuto del figlio maggiore il giorno prima che rientrasse a Brescia, perché voleva sposare il fidanzato italiano. Successivamente l'uomo aveva ritrattato, nonostante dall'autopsia sul corpo della giovane era emerso che aveva l'osso del collo spezzato.

Oggi la sentenza del tribunale distrettuale di Gujrat, nel Nord-Est del Pakistan, che ha assolto gli 11 imputati per "prove non sufficienti".

(Unioneonline)
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