È morto nella sua casa in Connecticut Henry Kissinger, l’ex segretario di Stato Usa che lo scorso maggio aveva compiuto 100 anni.

Astuto manipolatore e abile statista, è stato influente sino agli ultimi giorni di vita. La sua eredità continuerà ad essere discussa tra chi lo considera un genio diplomatico e chi un genio del male.

L’ex 15enne ebreo in fuga dall’Europa alla vigilia della Seconda guerra mondiale aveva un unico fine: fare degli Usa la più grande potenza internazionale, anche al prezzo di interventi brutali e illegittimi, come il bombardamento e l’invasione della Cambogia e il sostegno al golpe in Cile del 1973, quando Augusto Pinochet defenestrò Salvador Allende instaurando una dittatura militare.

Sulla guerra in Ucraina è intervenuto più volte, non su quella a Gaza scoppiata nelle ultime settimane. Eppure fu lui uno dei protagonisti della guerra del Kippur, che vide Israele vincitore nel 1973.

Per rendere l’idea di quanto ancora fosse influente, negli ultimi mesi ha incontrato a Washington l’ambasciatrice italiana Mariangela Zappia con la premier Giorgia Meloni. E, a luglio di quest’anno, a Pechino ha incontrato il presidente Xi Jinping e alti funzionari del Partito comunista.

Amico intimo di Gianni Agnelli, Kissinger ha sempre avuto un occhio attento sull’Italia, di cui apprezzava il ruolo nel Patto atlantico, sebbene il nostro Paese avesse il Partito comunista più potente d’Occidente.

In occasione del suo centesimo compleanno, sul Washington Post, il figlio David, interrogandosi sulla eccezionale vitalità fisica e mentale di un uomo che ha seppellito ammiratori e detrattori a dispetto di una dieta a base di bratwurst e Wiener schnitzel, individuò la ricetta nell'inesauribile curiosità paterna per le sfide esistenziali del momento: dalla minaccia delle atomiche negli anni '50 all'intelligenza artificiale su cui due anni fa scrisse il penultimo libro, “The age of Ai: and our human future”, a cui ha fatto seguito “Leadership: Six studies in world strategy”.

Da bambino, si diceva, era troppo timido per parlare in pubblico. Straniero nella nuova patria dopo la fuga dalla Germania nel 1938, imparò a esprimersi in perfetto inglese conservando sempre l'accento tedesco. Si fece largo prima a Harvard, poi a Washington, fino a raggiungere, complice Nelson Rockefeller, il tetto del mondo al servizio di due presidenti: Richard Nixon e, dopo il Watergate, Gerald Ford.

Kissinger concentrò nelle sue mani ogni negoziato, rendendo superfluo il lavoro della rete diplomatica: dalla prima distensione verso l'Urss al disgelo con la Cina, culminato nel viaggio di Nixon a Pechino.

Gli accordi di Parigi per il cessate il fuoco in Vietnam dopo quasi 60 mila morti Usa gli valsero un premio Nobel per la Pace molto controverso, tanto che due giurati si dimisero per protesta.

Kissinger è stato di fatto un presidente ombra, la scrivania dell'Ufficio ovale per lui è stata sempre un miraggio impossibile per il fatto di non essere nato negli Usa. «Il potere è il miglior afrodisiaco», è la sua frase più celebre.

La sconfitta di Ford e l'elezione del democratico Jimmy Carter segnarono la fine della sua carriera pubblica, non dell'impegno in politica estera attraverso gruppi come la Trilaterale. Dopo aver lasciato il governo nel 1977, Kissinger fondò il celebre studio di consulenza Kissinger Associates, attraverso la cui porta girevole passarono ministri e sottosegretari e i cui clienti erano governi mondiali grandi e piccoli. Ed è stato proprio il suo studio a dare la notizia della sua morte. 

(Unioneonline/L)

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