La Libia è sull’orlo del caos a pochi giorni dalle elezioni, che probabilmente slitteranno al 2022 e dovrebbero traghettare il Paese nel post-Gheddafi dieci anni dopo la sua caduta.

Nella notte un gruppo di uomini armati ha circondato la sede del governo a Tripoli e l'ufficio del premier Abdul Hamid Dbeibah. Secondo alcune fonti, avrebbe fatto irruzione nel ministero della Difesa.

Il presidente del Consiglio presidenziale, Mohammed al Menfi, ha richiesto l'intervento di forze di sicurezza e, riferiscono i media libici, insieme ad altri membri dello stesso Consiglio è stato trasferito in un luogo sicuro.

Parti della capitale sono inoltre rimaste senza elettricità e piombate nel buio.

Le tensioni sono esplose dopo che Menfi, in qualità di Comandante supremo delle forze armate, ha deciso di sollevare dal suo incarico il comandante del distretto militare di Tripoli, Abdel Basset Marwan, vicino a potenti milizie locali, e di nominare al suo posto il generale Abdel Qader Mansour.

"Non ci saranno elezioni presidenziali in Libia, chiuderemo tutte le istituzioni statali", ha tuonato il leader della Brigata al-Samoud, Salah Badi, misuratino nella lista nera del Consiglio di sicurezza dell'Onu dal 2018 per aver più volte tentato di rimuovere dal potere l'allora Governo di unità nazionale di Fayez al Sarraj e per aver condotto azioni armate nella capitale causando vittime civili. 

Una situazione che mette a rischio le prossime elezioni. Teoricamente la sfida fra il generale Khalifa Haftar, il figlio del colonnello Seif al Islam Gheddafi e lo stesso premier Dbeibah si dovrebbe tenere prima di Natale. Ma già sabato scorso l'Alta Commissione elettorale libica (Hnec) ha annunciato il rinvio sine die della pubblicazione della lista definitiva dei candidati presidenziali spiegando di dover ancora "adottare una serie di misure" e bloccando di fatto anche la già breve campagna elettorale.

(Unioneonline/D)

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