Il ruolo degli Usa tra unilateralismo, pragmatismo nazionalistico e marginalità europea
Falliti i tentativi di Donald Trump di tornare a un passato che non esiste più, attribuendo agli Stati Uniti un’egemonia che nei fatti non c’è più(Ansa)
Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Dall'Ucraina al Medio Oriente all’Asse Asiatico alternativo all’egemonia occidentale: la diplomazia di Donald Trump, nel volgere di pochi mesi, pare essersi rivelata “decadente” sotto tutti i punti di vista. Proprio lui che diceva e ripeteva di poter risolvere il conflitto russo-ucraino in sole ventiquattro ore, ha mancato l’obiettivo platealmente. Neppure ci sarebbe da stupirsi se, magari, stesse pure ancora cercando di comprenderne la ragione. Non si tratta di assecondare lo slancio verso quella che potrebbe apparire quasi come una pura e semplice critica dell’agire politico del “Tycoon”, quanto, più semplicemente, di tirare le somme di quelli che, al netto dell’imprevisto e dell’imponderabile, appaiono come i segnali incontrovertibili di una mancanza di prospettiva nel medio e lungo termine.
L’insuccesso di Donald Trump, che voleva risolvere il conflitto in ventiquattro ore, parrebbe presentarsi come generale. Dicendolo diversamente, e per intenderci, se la Cina di Xi-Jin-Ping parrebbe proporsi a tutti gli effetti quale espressione politica ed economica, sia pure non ancora militare, del cosiddetto multilateralismo globale contrapposto all’egemonismo occidentale, gli Stati Uniti d’America, guidati da ultimo da Donald Trump, sembrerebbero retrocedere.
Quello del Presidente degli Stati Uniti d’America, espresso dal suo agire, sembra quasi un tentativo utopico di ritornare al passato, allorquando il concetto geopolitico di “sfera di influenza” esprimeva efficacemente il predominio di uno Stato, definito come dominante, su un altro e/o su altri Stati indirizzandone le decisioni. Innegabilmente, sul piano puramente ideologico del significante, l’espressione è di per sé stessa dotata di una connotazione politica ed un imprinting rilevante. Ma altrettanto innegabilmente, il suo significato pare essere mutato nel tempo fino quasi a divenire obsoleto e financo non più rappresentativo delle articolate dinamiche nei rapporti internazionali. Tanto più allorquando l’intervento della cosiddetta globalizzazione, con le sue innumerevoli variabili, abbia contribuito a rendere estremamente fluidi e relativi i rapporti di forza tra Stati: il recentissimo Vertice SCO tra Nazioni emergenti, e che ha visto la Russia e la Cina quali protagoniste indiscusse, ne è un esempio concreto.
Ed ancor di più allorquando, siffatta circostanza, avrebbe dovuto suggerire prima a Donald Trump, al momento del suo re-insediamento alla Casa Bianca, e dovrebbe suggerire oggi, di offrire preminenza alle cosiddette alleanze “orizzontali”, ossia egualitarie, fra competitor/player internazionali, Unione Europea compresa, piuttosto che relazioni ibride ispirate a forme di unilateralismo di cui i dazi sono concreta espressione e rispetto ai quali l’Europa sembra essersi lasciata travolgere.
L’Unione Europea, invero, sembrerebbe aver rinunciato al proprio protagonismo e alla propria centralità, e la sua visione di politica estera sembra essersi ridimensionata e quasi appiattita rispetto a quella voluta dalla Casa Bianca. Tra realismo e liberalismo sembra giocarsi il futuro dell’Occidente. Se gli interpreti del “realismo”, tra cui sembra potersi collocare Donald Trump, ritengono che i rapporti e gli scambi internazionali debbano essere condizionati dall’interesse nazionalistico in senso stretto, finalizzato a trarre il massimo profitto, gli interpreti del liberalismo, al contrario, si ispirano a dinamiche concentrate sulla pace e sulla prosperità conseguibili attraverso canali democratici fondati primariamente sul rispetto dei diritti umani e dei principi cardine dello stato di diritto. Ebbene. Se davvero l’Unione Europea volesse ritagliarsi, riconquistandolo, il proprio protagonismo sul piano internazionale, dovrebbe proporsi quale interlocutore diplomatico unitario e federale non solo nei contesti di guerra, quello russo ucraino e quello medio orientale, intervenendo per porre fine concretamente ai conflitti ed imponendo il rispetto della pari dignità dei Popoli tutti, ma anche nei contesti economici e relazionali rilevanti, ponendosi quale interlocutore privilegiato ed egualitario non solo nei rapporti con gli Stati Uniti d’America di Donald Trump ma anche e soprattutto con i cosiddetti Paesi Emergenti dello SCO i quali appaiono tutt’altro che isolati ed irrilevanti. Per dirla in breve: meno Trumpismo e più Europeismo.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro