Global Sumud Flotilla: impegno per la pace e dovere di prudenza
La missione umanitaria e le titubanze dell’occidentePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Nelle ultime settimane il dibattito politico sembra essersi canalizzato sulle differenti posizioni esistenti tra la maggioranza e l’opposizione di governo in merito alle dolorose vicissitudini della popolazione palestinese su la Striscia di Gaza. Ma, al di là della articolata dialettica politica sul punto, a farsi sempre più imponente sembra essere, ed è, la voce dell’opinione pubblica, non solo italiana, ma anche europea e anche internazionale, la quale continua ad esprimere con commozione e partecipazione il proprio disappunto e la propria contrarietà per quanto è accaduto e continua ad accadere alla popolazione palestinese presente nella Striscia di Gaza, che da tempo oramai non sembra riuscire a rinvenire un luogo sufficientemente sicuro nel quale trovare rifugio.
Più specificatamente: a fronte di quella che l’opinione pubblica considera come una mancanza di iniziativa da parte dell’Occidente, la mobilitazione della popolazione civile e della “Global Sumud Flotilla”, ossia la missione di attivisti internazionali in rotta verso la Striscia di Gaza, sembra rappresentare il tentativo profondamente umano, dal grandissimo significato valoriale e morale, a difesa di una popolazione in gravissima difficoltà e affanno. Il tentativo, certamente rischioso ma altrettanto consapevole, è quello di consegnare viveri, medicinali e altri beni essenziali di prima necessità alla popolazione palestinese. Ma non per questo, può essere comunque sottovalutata la legittima preoccupazione, considerato il cruento contesto offensivo, espressa dal Ministro della Difesa Crosetto, per il quale “è fondamentale che questo impegno non si traduca in atti che non porterebbero ad alcun risultato concreto”, siccome “qualora la Sumud Flotilla decidesse di intraprendere azioni per forzare un blocco navale si esporrebbe a pericoli elevatissimi e non gestibili”. Come pure non sembra non potersi considerare la circostanza che la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, nota anche come Convenzione di Montego Bay, riconosce il principio del cosiddetto “passaggio inoffensivo”, che consente alle navi straniere di attraversare le acque territoriali di uno Stato senza arrecare danno. Dicendolo diversamente, in buona sostanza, in forza di quel trattato, poiché la missione della “Flotilla” non configura, di per sé stessa considerata, una minaccia per la sicurezza di Israele, alla stessa, con il suo carico di aiuti umanitari, dovrebbe poter essere assicurato il raggiungimento de la Striscia di Gaza senza violazioni del diritto internazionale del mare. A significare, volendo condurre sul piano esclusivamente e necessariamente solo argomentativo un minimo ragionamento deduttivo, che se Israele dovesse reagire nei confronti di una imbarcazione inoffensiva una volta superate le acque internazionali, probabilmente la circostanza, nella sua drammaticità, indurrebbe la Comunità Internazionale tutta a trovarsi nella condizione di dover intervenire fattivamente.
Del resto, la stessa Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, intervenendo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato che nel rispondere all’attacco di Hamas del 7 ottobre, Israele ha violato il principio di proporzionalità, ossia quel principio di proporzione tra azione e reazione sancito dalle Convenzioni Internazionali di Ginevra, e ha pure dichiarato che “Israele non può impedire la nascita dello Stato Palestinese”.
Dopo i fatti del 7 ottobre dell’anno 2023, tutti gli Stati vicini ad Israele hanno condannato l’attacco perpetrato da Hamas, ritenendo che, nella circostanza, l’operazione portata avanti da Netanyahu e dal suo governo, rappresentasse una misura necessaria di reazione. Tuttavia, la tragica vicenda del 7 ottobre, non pare poter costituire in alcun modo l’occasione per escludere a priori la soluzione politica alla cosiddetta questione palestinese dei “due Popoli, due Stati”. Doveroso, da parte della Comunità Internazionale, ristabilire gli equilibri per arrivare al “cessate il fuoco” nei contesti di guerra e riportare la pace.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro