“Non lo rifarei”: così Shmuel Peleg, nonno del piccolo Eitan, unico sopravvissuto alla strage del Mottarone, a proposito del blitz con il quale nei mesi scorsi portò in Israele il nipotino.

"Quello che sapevo allora non è quello che so ora – spiega in un’intervista ripresa dalle agenzie di stampa – . Solamente durante il processo in Israele è emerso il decreto che stabiliva l'espatrio solo se accompagnato da Aya. In quel momento avevo davanti un bambino che volevo salvare perché non mi veniva data nessuna garanzia di collaborazione con noi sulle decisioni sul suo futuro".

Il nonno spiega quindi di avere "molta" paura di essere arrestato: "La cosa che più mi addolora è che non posso vedere Eitan". Sulla decisione di nominare un tutore terzo, commenta: "Ci dà una prima speranza". "Confido nel sistema giudiziario italiano che ora si occupi del suo bene - aggiunge - Coltivo dentro di me la speranza che possano considerarlo un caso umanitario, di un nonno che ama suo nipote. Spero mi verrà data la possibilità di vederlo".

E a proposito della frase pronunciata poco dopo il “rapimento” e riferita dai media israeliani, "quando Eitan crescerà dirà che l'ho salvato", precisa: "Non sostengo che Aya gli facesse del male o che non se ne prendesse cura. Ma il fatto stesso che volesse limitare i contatti tra Eitan e noi o escluderci dalle scelte che lo riguardano, come ha fatto dall'inizio, non è nell'interesse di mio nipote".

"Eitan - sostiene Peleg - è un bambino israeliano, ebreo, qui ha le sue radici e una famiglia ramificata". Se è possibile una riconciliazione con i Biran? "Difficile pensarlo ora. Ma una parte terza, dopo che verrà stabilito dai tribunali italiani qual è l'interesse superiore del bambino, dovrà mediare e verificare come entrambe le famiglie possano stargli accanto", conclude.

(Unioneonline/v.l.)

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