Donald Trump e la variabile russa: pacificatore o aspirante tale?
Il Cremlino ha ancora una volta mostrato di non avere alcuna intenzione di sedersi al tavolo dei negoziatiPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Ma Donald Trump, alla fine della fiera, è, o non è, un pacificatore? Gli sviluppi recenti sui maggiori contesti di conflitto, quello ucraino e quello medio-orientale, consentono di offrire un giudizio positivo rispetto al suo operato? Forse sì, forse no. Indubbiamente, nel rientrare alla Casa Bianca per il suo secondo mandato presidenziale, il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America ha voluto prediligere un approccio “altro” rispetto alle dinamiche politiche del suo predecessore. Non parrebbe trattarsi di un puro e semplice caso, malgrado la sua nota e forse apparente imprevedibilità. Donald Trump, ambisce a divenire, e ad essere ricordato, come uomo di pace. Il fatto stesso che Israele avesse in animo di coinvolgere i governi di tutto il mondo al fine di proporre la sua candidatura per il premio Nobel per la Pace, è sembrato costituire motivo di orgoglio, un riconoscimento atteso da tempo ma rimasto finora irraggiungibile. Con buona verosimiglianza, si potrebbe perfino esclamare che tra Donald Trump e il Nobel per la Pace si pone la Russia di Vladimir Putin. Il Cremlino ha ancora una volta mostrato di non avere alcuna intenzione di sedersi al tavolo dei negoziati se non alle sue condizioni, e ciò nonostante, lo stesso Donald Trump, pur rimasto deluso dal suo omologo russo, parrebbe essere stato categorico nel ribadire il proprio rifiuto alla richiesta di concessione dei missili da crociera americani Tomahawk richiesti da Kyiv. Contraddizione, buon senso o pragmatismo? Chi può dirlo, visto e considerato che, con la irrogazione di sanzioni al settore energetico russo sembrerebbe aver voluto allinearsi alla posizione dell’Unione Europea, quasi a voler sottolineare una continuità di intenti, quasi a voler esprimere comunque una reazione senza tuttavia che questa reazione potesse rappresentare una frattura divisoria utile a determinare un effettivo cambiamento sul campo di battaglia e nelle dinamiche dialettiche tra i due fronti: si intenda quello russo e quello americano.
Probabilmente non ci sarebbe da stupirsi più di tanto. Soprattutto laddove si voglia considerare che, lo stesso Donald Trump, si sia più volte mostrato possibilista nell’esprimere il suo punto di vista sulla spinosa questione della conservazione dell’integrità territoriale ucraina. Dicendolo diversamente (non è un mistero per nessuno) anche in occasione del suo ultimo incontro con Volodymir Zelensky, sembrerebbe essersi rivelato disposto a prendere in considerazione la possibilità di cedere alle richieste di Mosca che, notoriamente, aspirerebbe ad ottenere l’annessione del Donec’k pur di far terminare la guerra al più presto.
Nel contesto bellico russo-ucraino, l’intervento di Donald Trump, può allora rivelarsi decisivo al punto tale da indurre la conclusione della guerra, per giungere, allo stesso tempo, a una pace giusta e durevole? Probabilmente, la formula dubitativa si impone, potrà essere determinante ma non nei modi e nei termini che si attenderebbero i cosiddetti “Volenterosi”.
Sembrerebbe che il punto debole tra i vari sostenitori dell’Ucraina, se così lo si voglia definire, sia proprio rappresentato dalla mancanza di coesione nelle determinazioni da perseguire, anche a prescindere da ogni potenziale intervento oltremodo decisivo del Presidente degli Stati Uniti d’America il quale, checché se ne voglia dire, deve agire in maniera tale da non alterare i fragili equilibri esistenti e rischiare il pericolosissimo allargamento del conflitto. Quello russo ucraino è un bilanciere complesso ove pesi e contrappesi dei maggiori player coinvolti parrebbero equivalersi.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro
