Dopo la Strage di Capaci, i siciliani hanno manifestato tutto il loro dissenso contro la mafia e per la morte di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, avvenuta alle 17.58 sull’autostrada A29, all’altezza di Capaci, per mezzo di 400 kg di esplosivo posizionato in un canale di drenaggio che ha sventrato completamente il manto stradale, facendo balzare in aria le automobili e riducendo a brandelli i corpi.

"Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me", ripeteva continuamente Paolo Borsellino dopo la morte del collega e amico. Anche lui, come Falcone, era consapevole che sulla sua testa fosse già stata scritta una condanna a morte ma non sapeva dove e come. Il suo ufficio era pieno di libri, carteggi, appunti e sulla sua bocca c’era perennemente una sigaretta che lo accompagnava mentre appuntava dettagli su quella famosa agenda rossa – misteriosamente scomparsa dopo l’attentato in Via D’Amelio - che probabilmente conteneva la verità sulla morte di Falcone.

Una corsa contro il tempo che si arresta improvvisamente il 19 luglio del 1992, alle 16.58, in Via Mariano D’Amelio 21, quando una Fiat 126 imbottita da 90 kg di esplosivo viene fatta saltare in aria con un telecomando a distanza. Una nube nera ricopre il cielo di Palermo e sull’asfalto rovente rimangono i corpi dilaniati del magistrato Paolo Borsellino e degli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto all’attentato è Antonio Vullo, che si trovava alla testa del corteo. Fiamme, detriti e quel suono incessante di sirene che rimbombava dal centro alle periferie e che nessun palermitano ha mai dimenticato.

"Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri", diceva il giudice. I misteri sulla Strage di Capaci e Via D’Amelio continuano ad essere tanti, malgrado i processi abbiano sancito nomi, cognomi e volti degli esecutori materiali e poi abbiano assolto altri esponenti della politica e dei servizi. Condanne, assoluzioni e poi sembra che tutto torni nuovamente al punto di partenza ma la domanda rimane sempre la stessa: chi ha voluto la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Perché?

Prima della Strage di Capaci un gruppo di finti operatori ANAS ha posizionato chirurgicamente il tritolo all’interno del canale sotto l’autostrada A29, perché nessuno ha controllato? Con la complicità di chi? È impensabile che i "viddani" corleonesi avessero delle conoscenze in ambito scientifico. Come facevano a sapere che Falcone sarebbe passato da quel tratto stradale il 23 maggio e a quell’ora? Il pentito Pietro Riggio, nel corso del processo "Capaci Bis", ha dichiarato che "non fu Brusca ad azionare il telecomando per la strage". L’ipotesi di un secondo telecomando – da dimostrare - è uno dei tanti misteri di questa intricata storia che sembra non trovare mai una fine. Secondo le dichiarazioni del pentito Maurizio Avola, ad aiutare i mafiosi ci sarebbe stato anche l’artificiere John Gotti, capomafia della famiglia Gambino di New York.

Le "menti raffinatissime" di cui parlava Falcone sono forse le stesse che hanno decretato la loro morte? La strage di Capaci è piena di interrogativi che non riescono a trovare risposta, tanto quanto la strage di Via D’Amelio. Tra le tante domande ce n’è una: come facevano i mafiosi a conoscere in modo così preciso e dettagliato i movimenti e gli orari di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Chi li avvertiva? Chi era il tramite? Riina, nel corso di un colloquio risalente al 2013 al carcere di Opera con Lorusso, ha dichiarato: "Sapevamo che Borsellino doveva andare là perché lui ha detto: 'Domani mamma vengo'". Chi stava intercettando Borsellino? Chi li ha traditi?

Angelo Barraco
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