Ha rifiutato, per motivi religiosi, la trasfusione che le avrebbe potuto salvare la vita ed è morta pochi giorni dopo.

Succede a Caserta, non molto tempo dopo l'episodio di una bambina salvata dall'intervento provvidenziale dei medici e del Tribunale dei minorenni, che ha sospeso la potestà genitoriale per autorizzare la trasfusione dopo che i genitori l'avevano negata.

Una 70enne testimone di Geova (proprio come i genitori della bambina salvata), confessione che impedisce ai suoi adepti di "mischiare" il proprio sangue a quello altrui, è rimasta ferma sulla sua decisione di rifiutare la trasfusione, nonostante i tentativi di convincerla operati dal primario del reparto di chirurgia generale dell'ospedale di Piedimonte Matese in cui era ricoverata.

Ma questa volta non c'era di mezzo un minore e il medico si è dovuto arrendere di fronte alla volontà della donna di non ricevere cure.

LO SFOGO DEL MEDICO - "Oggi sono triste e incazzato nero - ha scritto il primario Gianfausto Iarrobino sul suo profilo Facebook -, una paziente è venuta meno nel mio reparto perché ha rifiutato una trasfusione di sangue. Era testimone di Geova. L'avrei salvata al 100% ma ha rifiutato ed è morta. I figli ed i parenti solidali con lei. Ho fatto di tutto, mi sono scontrato con i familiari ma... Nulla. Alla fine i figli si sono esaltati dicendo: 'Mamma sei stata grande, hai dato una lezione a tutti i medici e a tutto il reparto'. Mi chiedo: come può una religione ancora oggi permettere un suicidio? Come è possibile che io, deputato per giuramento a salvare le vite umane, sia stato costretto a presenziare e garantire un suicidio assistito?".

I FIGLI - Dal canto proprio, la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova ha diramato una nota a nome dei figli della donna, dove si legge: "Amavamo molto nostra madre e l'abbiamo sempre ammirata per la sua fede e il suo coraggio, oltre che per l’amore che aveva per la vita. Anche per rispetto nei suoi confronti ci sentiamo obbligati a fare le seguenti precisazioni. Come testimoni di Geova amiamo moltissimo la vita. Quando nostra madre si è sentita male l’abbiamo portata subito in ospedale perché venisse curata nel modo migliore possibile. Abbiamo anche rispettato la sua decisione di non ricevere trasfusioni di sangue, consapevoli che esistono strategie mediche alternative che funzionano molto bene, anche in casi delicati".

"Purtroppo - prosegue la nota - quando nostra madre ha chiesto ai medici di curarla con ogni terapia possibile tranne che col sangue i medici non le hanno somministrato prontamente farmaci che innalzassero i valori dell’emoglobina. Lo hanno fatto solo due giorni dopo dietro nostra insistenza. Non hanno nemmeno fatto indagini strumentali che permettessero di trovare il luogo esatto dell’emorragia così da fermarla il prima possibile. Si sono limitati a chiedere insistentemente di praticare l’emotrasfusione. Ma a cosa sarebbe servita se il problema di fondo era la perdita di sangue? Intanto le condizioni di nostra madre peggioravano inesorabilmente. Dal momento che non era in grado di sostenere un trasferimento in un altro ospedale, abbiamo fatto in modo che i medici locali ricevessero materiale scientifico su efficaci strategie alternative alle emotrasfusioni. Tali indicazioni però sono state recepite solo parzialmente e quando ormai era troppo tardi".

Ancora, in risposta al dottor Gianfausto Iarrobino, i figli aggiungono: "Capiamo la frustrazione del primario, incapace di curare la paziente con strategie cliniche alternative alle trasfusioni. Tuttavia non accettiamo i suoi insulti e le sue affermazioni palesemente false. Dire che noi figli ci saremmo esaltati e che avremmo accolto la morte di nostra madre “quasi con gioia” è una grave diffamazione" e "paragonare la morte di nostra madre a un suicidio assistito è semplicemente falso".

"Ci auguriamo - la chiosa - che questa triste vicenda faccia riflettere la direzione ospedaliera così che nessun paziente in futuro debba subire un trattamento simile a quello riservato a nostra madre".

(Unioneonline/L)
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