Lunedì 4 gennaio saranno 30 anni dalla Strage del Pilastro, l'anniversario della morte dei tre giovani carabinieri uccisi a Bologna, nel quartiere Pilastro, dalla Banda della Uno Bianca.

A causa delle norme per la pandemia, i familiari delle vittime non potranno però partecipare alla cerimonia.

"Non esserci è per noi una grande sofferenza", spiega Ludovico Mitilini, fratello di Mauro, assassinato nel 1991 insieme ai colleghi Andrea Moneta e Otello Stefanini. Sulla strage "siamo di fronte a una verità monca, ci sono lati oscuri: per questo da parte di alcuni familiari sarà fatta una richiesta formale di riaprire le indagini", aggiunge.

"DIGITALIZZARE GLI ATTI" - Già lo scorso anno, in una lettera diffusa per il 29esimo anniversario, i familiari avevano detto di auspicare una riapertura: "Abbiamo chiesto di digitalizzare gli atti", ricorda Mitilini.

Per il fratello del carabiniere assassinato dalla banda capeggiata dai fratelli Savi, composta quasi tutta da poliziotti che tra il 1987 e il 1994 lasciarono dietro di sé 24 morti e oltre 100 feriti tra Bologna, la Romagna e le Marche, già nella sentenza del 1997 "ci sono elementi che destano perplessità, testimonianze non valorizzate per quello che erano".

LA VERSIONE DEI SAVI - La Corte di Assise di Bologna, dice Mitilini, "ha creduto alla versione dei Savi che affermarono che 'i tre carabinieri furono uccisi per impossessarsi delle loro armii, eppure i membri della banda avevano a disposizione un arsenale, non c'era bisogno di rubarle ai Carabinieri e, comunque, essendo poliziotti le avrebbero potuto rubare facilmente dai propri uffici".

C'è poi il tema di un'ordinanza del questore di Bologna dell'epoca "che disponeva in modo dettagliato ed inequivocabile una vigilanza fissa delle forze dell'ordine innanzi alla ex scuola Romagnoli, colpita nei giorni precedenti da una molotov. Non è chiaro, allora, come mai i carabinieri si fossero spostati in via Casini, dove furono assassinati, luogo 'non limitrofo' ed abbastanza distante dall'obiettivo da vigilare. Ad infittire il mistero, anche la sparizione del foglio di servizio della pattuglia".

TESTIMONIANZE NON VALORIZZATE - Tra le testimonianze non sufficientemente valorizzate, a suo avviso, quelle di chi vide i killer, dopo la strage, salire su un'Alfa Romeo 33 guidata da un "quarto uomo" mai identificato.

Restano poi dubbi anche sulla modalità dell'assassinio: "I killer del Pilastro, dopo aver colpito i carabinieri, con una pioggia di fuoco, non scapparono, anzi, continuarono a sparare assicurandosi che i tre fossero morti, quindi, probabilmente, l'obiettivo di quella sera del 4 gennaio 1991 era proprio uccidere tre giovani carabinieri".

Mitilini ricorda infine come le prime indagini si indirizzarono, erroneamente, sulla criminalità organizzata. "Non ci ho mai creduto, anche se c'era il supporto di una 'super testimone', Simonetta Bersani, che indicava i Santagata, alcuni pregiudicati del quartiere Pilastro, tra i killer dei Carabinieri".

Dopo l'arresto dei Savi, i Santagata furono assolti e Bersani fu inquisita per calunnia, ma nel 2007 "il procedimento penale venne archiviato per scadenza dei termini. Forse un'occasione perduta per arrivare alla piena luce su tutta questa storia". "Sono fiducioso - conclude - che sia vicino il momento per poterla fare".

LA STRAGE - La sera del 4 gennaio 1991 una pattuglia di carabinieri, a bordo di una Fiat Uno di servizio, sta perlustrando le vie del quartiere Pilastro, una delle periferie di Bologna con elevata microcriminalità, con il compito di vigilare su una ex scuola nella quale sono ospitati da tempo circa trecento extracomunitari. Sull’auto Andra Moneta, Mauro Mitilini e Otello Stefanini, tre giovani poco più che ventenni. A un tratto i carabinieri rallentano la marcia della loro macchina, forse hanno visto qualcosa di sospetto e vogliono controllare. All’improvviso contro di loro un primo colpo di pistola e, subito dopo, mentre l’auto condotta da Stefanini cerca di allontanarsi, altri colpi d’arma da fuoco vengono esplosi da una Uno bianca.I carabinieri rispondono al fuoco, poi la loro auto finisce la corsa contro un marciapiedi e alcuni cassonetti e i tre vengono raggiunti dai banditi che gli scaricano contro i caricatori delle loro armi.

(Unioneonline/v.l.)
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