"Mi dicevano è solo una normale influenza, ma era Covid-19. E ha devastato la mia famiglia".

A parlare è Francesca Pariboni, romana di 29 anni. Racconta il suo calvario iniziato il 30 marzo, quando il padre comincia a mostrare i sintomi della malattia respiratoria causata dal virus.

"Lui non ce l'ha fatta, e mentre combatteva, nessuno ha prestato attenzione a noi", denuncia la ragazza, ricordando i tanti tentativi fatti ai primi sintomi del padre. "Chiamate al numero verde, attese anche di 90 minuti prima di ricevere una risposta".

E quando la risposta arriva, "gli operatori rispondono con leggerezza, come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, parlano di una normale influenza e la collegano alle condizioni immunodepresse di papà".

Paolo Pariboni è un malato oncologico, le sue condizioni peggiorano di ora in ora ma la richiesta, avanzata anche dal medico di famiglia, di sottoporlo a tampone viene ascoltata solo il 6 aprile. Sono i familiari a portarlo in ospedale dopo che il saturimetro, fornito dallo zio di Francesca, mostra livelli di saturazione dell'ossigeno drammaticamente bassi.

"Poi non l'ho più visto", racconta Francesca. Paolo muore il 19 aprile, a 59 anni. "Sapevamo che non avrebbe sconfitto il cancro, ma avrebbe ancora potuto vivere per dei mesi, per uno, due anni, se la diagnosi fosse stata fatta in tempo e la malattia curata".

Non finisce qui. Riscontrata la positività di Paolo, anche il resto della famiglia preme per fare il tampone. Francesca, la mamma e il fidanzato sono tutti e tre positivi.

La 29enne e il ragazzo non hanno sintomi e vengono messi in autoisolamento in casa, la madre viene ricoverata assieme al marito, e rimane con lui fino all'ultimo giorno. Ora la donna è guarita. Nel frattempo lo zio si ammala, dopo due settimane di isolamento domiciliare e di richieste continue di sottoporsi al tampone, glielo fanno. Positivo anche lui.

Ora nessuno sta malte, ma Francesca è ancora positiva. E' quanto risulta dall'ultimo tampone, eseguito il 30 aprile. Un tampone per fare il quale deve telefonare ripetutamente a diversi enti sanitari. "Ogni volta devo ripetere le stesse informazioni, numero di telefono, email, indirizzo e dettagli sui miei conviventi, come se non ci fosse un file sulla mia situazione. Una confusione totale, l'esperienza della mia famiglia mostra la schizofrenia organizzativa nella risposta del sistema sanitario alla pandemia".

(Unioneonline/L)
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