Davide Fontana, il bancario condannato in primo grado a 30 anni per l'assassinio, lo smembramento e l'occultamento del cadavere di Carol Maltesi, uccisa a Rescaldina, nel Milanese, l'11 gennaio 2022, è stato ammesso alla giustizia riparativa, un istituto entrato in vigore con la riforma Cartabia.

Lo ha deciso la corte d'Assise di Busto Arsizio accogliendo, per la prima volta in Italia, la richiesta dell'uomo. Il sistema non è alternativo all'iter penale o alla detenzione in carcere, non comporta uno sconto di pena e non incide sul piano civilistico ma «consiste nella ricostruzione del legame spezzato tra vittima, reo e comunità».

Una forma di risoluzione del conflitto, complementare al processo, basata sull'ascolto e sul riconoscimento dell'altro con l'aiuto di un terzo imparziale. Ovvero un mediatore. Davanti al mediatore si ritroveranno le parti (non i familiari di Maltesi che hanno già detto no) per stabilire quale percorso dovrà affrontare Fontana (che potenzialmente, visto il tipo di reato, potrebbe operare come volontario in un centro antiviolenza). Trattandosi di una novità assoluta, non è ancora prevedibile una tempistica né come potrà tradursi in modo concreto il percorso di Fontana.

«Provo un gran bisogno di riparare alla mia condotta», ha detto Fontana ai giudici, chiedendo loro di «permettermi di fare qualsiasi cosa, di seguire programmi e percorsi, qualsiasi cosa sia possibile fare verso i parenti di Carol e anche verso altre associazioni».

«Di certo si crea un precedente», ha commentato l'avvocato Stefano Paloschi, difensore di Davide Fontana. «Il caso del mio assistito - ha spiegato - è stato trasmesso al centro per la giustizia riparativa e la mediazione penale di Milano. Non c'è una tempistica che possa fissare la mediazione, questo potrebbe essere un caso pilota». 

«Il mio assistito e tutti i famigliari di Carol Maltesi non vogliono in alcun modo incontrare Davide Fontana», ha detto l'avvocato di parte civile Manuela Scalia, che assiste Fabio Maltesi, padre di Carol Maltesi. «Ho avvisato il mio assistito, che vive ad Amsterdam, della decisione della Corte - prosegue Scalia - Si è detto sconvolto e schifato da una giustizia che ammette un assassino reo confesso, che ha ucciso, fatto a pezzi ed eviscerato una ragazza, di accedere ad un percorso simile».

La donna, che aveva un bambino di sei anni, fu sgozzata, fatta a pezzi e gettata da un burrone dopo che per tre mesi i suoi resti erano stati nascosti in un freezer. Secondo i giudici «l’imputato ha manifestato sin dalla fase delle indagini preliminari la seria, spontanea ed effettiva volontà di riparare alle conseguenze del reato, tanto da aver chiesto scusa ai familiari della vittima sin dalla prima udienza dibattimentale». Quindi «lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa da parte del Fontana non comporta alcun pericolo concreto per l’accertamento dei fatti, già giudicati in primo grado, come del resto riconosciuto da tutte le parti».

(Unioneonline/D)

© Riproduzione riservata