La strage di via D’Amelio, quattro poliziotti a giudizio per depistaggio
«Assoluta malafede» e «troppi non ricordo»: per il pm gli agenti avrebbero mentito deponendo nel processo sulle indaginiLa strage di via D'Amelio (Archivio)
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Il gup del tribunale di Caltanissetta David Salvucci ha rinviato a giudizio i poliziotti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli, accusati del reato di depistaggio: avrebbero mentito deponendo come testi nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio concluso in appello con la prescrizione del reato di calunnia per tre loro colleghi: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
La prima udienza del processo è fissata per il 17 dicembre.
I quattro facevano parte del gruppo di indagine "Falcone-Borsellino" creato all'interno della Squadra Mobile di Palermo per fare luce sulla strage di Capaci del 23 maggio 1992 e di via D’Amelio del 19 luglio 1992, in cui morirono il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: la poliziotta di Sestu Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
I poliziotti, secondo il pm Maurizio Bonaccorso, avrebbero mentito su alcuni punti e sarebbero stati reticenti su altri. Bonaccorso durante la sua discussione ha parlato di «assoluta malafede», contestando anche i «troppi non ricordo» nel corso delle loro deposizioni.
«Non posso che prendere atto del rinvio a giudizio che dobbiamo accettare imponendoci di proseguire nella celebrazione di un processo che poteva certamente avere una piega diversa. Restiamo convinti della insussistenza del reato di depistaggio che viene contestato ai miei assistiti», ha detto l'avvocato Maria Giambra, legale dei poliziotti Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli.
«Sono proprio la struttura stessa del capo di imputazione e il contenuto delle condotte addebitate - ha aggiunto Giambra - che danno la misura della infondatezza in diritto dell'ipotesi accusatoria. Agli imputati si contesta di avere reso false dichiarazioni o omissioni nel corso del processo a Mario Bo e altri due imputati, ma in riferimento alle indagini sulla strage di via D'Amelio. Ma il depistaggio è un fatto avvenuto, consumato e già vagliato processualmente in altri procedimenti come il Borsellino quater. Come avrebbero potuto depistare quelle indagini se già il depistaggio è stato scoperto? Al massimo si sarebbe potuto valutare se le condotte avessero potuto integrare il reato di falsa testimonianza, che comunque a mio giudizio non c'è stato in quanto le dichiarazioni rese dai miei assistiti non avevano alcun contenuto di falsità e i 'non ricordo' non erano reticenze finalizzate a omettere il vero ma il frutto di un lasso di tempo di quasi trent'anni».
(Unioneonline/D)