Ha detto per due volte no a un contratto di lavoro a tempo determinato, per questo non ha più diritto all’assegno mensile di 300 euro del papà.

Lo ha stabilito la Cassazione respingendo il reclamo di Adele, figlia 22enne di una coppia divorziata di Gorizia. La ragazza, che ha il diploma di maturità, “non ama gli studi” ed è “priva di aspirazioni professionali”, ha rifiutato due contratti a tempo determinato. Il primo come segretaria nello studio legale del padre, ha detto no sostenendo di voler fare da cameriera. Ma quando le è stato offerto un posto fisso proprio come cameriera, Adele ha detto nuovamente no.

Per questo non ha più diritto all’assegno mensile, la mancata dipendenza economica è “esclusivamente sua colpa”.

Ad avviso della Cassazione, il ricorso della ragazza - che ha fatto presente la sua "giovane età" e il suo "percorso professionale ancora in itinere" - è "manifestamente infondato".

Già il Tribunale di Gorizia e poi la Corte di Appello di Trieste nel 2020 hanno "spiegato le ragioni che deponevano per la revoca dell'assegno" rimarcando come "il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica di Adele dovesse imputarsi esclusivamente a sua colpa, per aver ingiustificatamente rifiutato plurime offerte di lavoro, nonostante difettasse ogni prova di sue particolari inclinazioni o attitudini o di sue ben precise aspirazioni professionali che l'avessero determinata a compiere, ed a seguire con costanza, una diversa e coerente scelta progettuale alternativa".

L’assegno mensile non deve perseguire una “funzione assistenziale incondizionata dei figli maggiorenni disoccupati” e l’obbligo di corresponsione deve venir meno “nel caso in cui il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica si possa ricondurre alla mancanza di un effettivo impegno verso un progetto formativo rivolto all’acquisizione di competenze professionali”.

Resta in piedi invece il diritto all'assegno del fratello 18enne Carlo, anche a lui il padre voleva togliere i 300 euro “per lo scarso rendimento scolastico, le sue ripetute assenze, le note disciplinari, i comportamenti inadeguati e ingiustificati”. Per la Cassazione “non si può tener conto della condotta morale del ragazzo” e l’assegno gli spetta perché è stato ammesso all’ultimo anno del liceo e dunque “c’è la possibilità che completi gli studi”.

(Unioneonline/L)

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