I magistrati della Procura di Palermo e i carabinieri del Ros hanno individuato un secondo covo utilizzato dal boss Matteo Messina Denaro, arrestato due giorni fa dopo trent'anni di latitanza.

Oltre all'appartamento di vicolo San Vito a Campobello di Mazara, scoperto ieri, il capomafia avrebbe fatto realizzare una sorta di bunker all'interno di un'altra abitazione nella stessa area. Una stanza blindata a cui si accede dal fondo scorrevole di un armadio, in una casa al primo piano di una palazzina di via Maggiore Toselli. L'abitazione,  localizzata grazie agli investigatori del Gico della Guardia di Finanza sulla base dell'analisi di alcuni dati catastali, è di Errico Risalvato, 70 anni, assolto nel 2001 dall'accusa di mafia, ritenuto vicino al capomafia di Castelvetrano. All’interno gioielli, collane, bracciali e anche pietre preziose di dimensioni consistenti. 

Mentre comincia a parlare Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara che ha "prestato" l'identità al boss – «Lo conosco fin da quando eravamo ragazzini. La casa in cui viveva l'ho comprata io con i suoi soldi, 20mila euro» – all'interno del penitenziario di massima sicurezza de L'Aquila dove si trova da ieri Messina Denaro ha già fatto la sua prima ora d'aria, si è organizzato la cella ed è «molto attivo», dicono alcune fonti.

Il superlatitante è stato visitato nell’infermeria del carcere "Le Costarelle" dal professor Luciano Mutti, primario del reparto di oncologia a gestione universitaria dell'ospedale San Salvatore. Tutte le terapie e le procedure mediche, a quanto si apprende nonostante lo stretto riserbo, verranno attuate preferibilmente in carcere: l'obiettivo è ridurre al massimo gli spostamenti in ospedale che farebbero scattare misure di sicurezza molto importanti.

Dopo Alfonso Tumbarello, medico di base di Campobello di Mazara che aveva in cura sia il boss, alias Andrea Bonafede, sia il vero Bonafede, nell’inchiesta sulla rete dei favoreggiatori è entrato anche un secondo medico, l'oncologo trapanese Filippo Zerilli. Sarebbe stato lui a eseguire l'esame del dna necessario alle cure chemioterapiche a cui il padrino di Castelvetrano doveva sottoporsi. Da accertare se conoscesse la vera identità del suo assistito.

(Unioneonline/D)

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