Filippo Turetta: «L’omicidio di Giulia pianificato da giorni, volevo suicidarmi». Gino Cecchettin: «Abbiamo capito chi è»
Il 22enne, interrogato nel processo per cinque ore, ricostruisce le varie fasi del delitto sotto gli occhi del papà della vittimaFilippo Turetta in tribunale (Ansa)
Filippo Turetta, interrogato per cinque ore nella seconda udienza del processo per l’omicidio della ex fidanzata Giulia Cecchettin, ammette di aver premeditato il delitto.
Per la prima volta il 22enne è uscito dal carcere - è rinchiuso da un anno a Verona - dopo l'arresto avvenuto in Germania il 19 novembre 2023. E per la prima volta si è ritrovato faccia a faccia con Gino Cecchettin, padre di Giulia.
Il giovane è vestito con pantaloni neri ed una felpa grigia con cappuccio, in mano una cartellina con alcuni documenti. Prima di sedere accanto al legali di fiducia, Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, ha girato un paio di volte il capo guardandosi attorno. Mentre Cecchettin seguiva la deposizione tenendo lo sguardo fisso su di lui, Turetta non lo ha mai incrociato con gli occhi, tenendo sempre lo sguardo basso e lontano dal pubblico e dai banchi delle parti civili.
Secondo quanto riferito dal suo avvocato, Turetta ha depositato «uno scritto di 40 pagine in cui a mente fredda cerca di ricostruire punto per punto i suoi ricordi e aggiungere o integrare quanto detto durante i lunghi interrogatori».
Alla domanda su come stia Turetta, l’avvocato Giovanni Caruso ha risposto: «È un coniglio bagnato, si può dire?».
L’INTERROGATORIO
Poi è iniziato l’interrogatorio. Turetta tentenna, balbetta, pronuncia frasi sconnesse e una serie di «non ricordo», ma sostanzialmente ammette tutto, anche la premeditazione negata nel primo interrogatorio dopo l’arresto. «Ho pensato di rapirla e di toglierle la vita, ero confuso, volevo stare ancora assieme a lei. Ero arrabbiato, era un bruttissimo periodo, volevo tornare con lei e per questo ho ipotizzato questo piano per quella sera», dice rispondendo alle prime domande del pm Andrea Petroni. Occhi bassi, bassa la voce. Quando ha iniziato a pianificare il tutto? «Il 7 novembre (2023, ndr) perché ho cominciato a pensare, avevo tanti pensieri sbagliati». L’omicidio è avvenuto l’11 novembre.
Turetta quindi spiega di aver scritto la memoria depositata oggi al processo e le lettere precedenti «in più volte nel tempo, ricostruendo quanto era accaduto, per mettere ordine. Ho cominciato a febbraio-marzo, e ho proseguito tutta l'estate, fino a questi giorni. Prima ho scritto di getto, poi ho riletto e messo in ordine quelle parti che di getto non avrei potuto scrivere».
Il giovane ammette di aver premeditato il delitto e di aver detto «una serie di bugie» nel primo interrogatorio. «Alcuni giorni prima avevo stilato la lista delle cose da fare. Prelevare contante con il bancomat, poi da gettare per far perdere le mie tracce. Avevo studiato su Internet anche come evitare che l’auto fosse individuata durante la fuga».
Nel primo interrogatorio davanti agli inquirenti, Turetta aveva affermato che lo scotch era stato acquistato per "appendere manifesti", i coltelli perché "pensava di suicidarsi". Dalle ammissioni di Turetta emerge la conferma delle tesi di accusa secondo cui lo scotch serviva per legare Giulia e che i coltelli erano stati messi in auto ben prima dell'11 novembre, giorno del delitto. Di fatto, è emerso che tutta la vicenda è supportata - come da indagine - da una serie di atti preparatori, alcuni dei quali non messi in atto all'ultimo momento.
Turetta in oltre due ore non pronuncia mai il nome di Giulia, pur ammettendo quel che ha fatto e pronunciando frasi pesanti come «l’ho uccisa e poi ho nascosto il corpo» Nell'aula della Corte d'Assise di Venezia regna il silenzio. Il pm Andrea Petroni cerca di formulare le domande in modo semplice e diretto, incalzando Turetta che, nonostante le memorie messe agli atti, balbetta, tentenna, risponde con dei «non ricordo» anche di fronte all'evidenza di immagini e oggetti, ogni tanto con voce strozzata. Il difensore di Turetta, Giovanni Caruso, fissa costantemente negli occhi Filippo.
Il racconto dell’omicidio: «Giulia stava scappando, forse l'avevo colpita in auto, su una coscia, non ricordo, poi non so se è caduta o l'ho fatta cadere a terra. Lei urlava e l'ho colpita ancora. Volevo colpirla al collo per non farla soffrire, lei alzava le mani per difendersi e allora ho tentato di colpirla più velocemente possibile da altre parti. Poi mi sono trovato in mano solo il manico (del coltello, ndr) e l’ho caricata in macchina».
Nel corso dell'udienza è anche emerso che nei giorni precedenti l'omicidio, in una gelateria di Padova, Turetta aveva avuto un pesante scontro verbale perché voleva tornare insieme a lei, e di averle dato uno schiaffo a una coscia: «Lei - ha sottolineato - si lamentava sempre perché ero assillante».
Il cellulare: «Penso di averlo preso io, era nella borsetta che le avevo tolto per impedire che lo usasse. Poi, dopo Fossò, l'ho buttato dal finestrino, assieme al coltello, mi pare in un fossato, un piccolo canale che circonda un terreno, ma non ricordo con precisione dove, stavo guidando, ero su una strada secondaria».
Ancora: «Nell’abbandonare il corpo l'ho coperto perché non volevo venisse trovato, era in condizioni tali che volevo evitare che venisse visto com'era ridotto». Turetta, che ha sempre sostenuto di volersi suicidare, dice di aver provato a farlo con un sacchetto di plastica, «ma non ci sono riuscito». Circostanza, quest’ultima, su cui il pm ha espresso più di un dubbio che il 22enne non è riuscito a fugare.
Poi arriva il turno dell’avvocato di parte civile, e Turetta scoppia in lacrime: «È difficile in questo momento – dice rispondendo a Nicodemo Gentile - Volevo tornare assieme a lei, soffrivo molto e provavo risentimento verso di lei. Avevo rabbia perché soffrivo di questa cosa, e questo mi ha sconvolto. Volevo che il nostro destino fosse lo stesso per entrambi e quindi ho pensato di abbandonare il corpo e suicidarmi. In macchina abbiamo litigato perché volevo tornare insieme, così come avevo fatto nei giorni precedenti, anche in chat». E se il piano fosse fallito? «Non ho mai pensato che il piano potesse fallire».
GINO CECCHETTIN
«Il momento più doloroso è stato sapere cosa ha attraversato mia figlia negli ultimi momenti della sua vita. Ma non è questo il punto del processo, il punto è che abbiamo capito chi è Filippo Turetta», dichiara Gino Cecchettin, in un momento di pausa del processo. «Infatti adesso il suo avvocato vuole capirne di più, ma per me è chiarissimo. Quello che emerge oggi è che la vita del prossimo è una cosa sacra, e non bisogna entrare nel merito della vita degli altri».
Dopo la pausa Cecchettin non si è ripresentato in aula alla ripresa dell’udienza. Prima di lasciare il tribunale si è fermato di nuovo con i cronisti. Sul fatto che Turetta non abbia mai incrociato il suo sguardo ha replicato laconicamente: «Chiedete a lui». Il suo volto si è illuminato solo quando gli è stato chiesto un ricordo di Giulia, ad un anno dalla scomparsa: «Il mio amore, Giulia», ha detto con un sorriso.
ELENA CECCHETTIN
Se Gino, padre di Giulia, è presente in aula, non c’è invece la figlia Elena, sorella di Giulia Cecchettin. «Oggi e lunedì 28 ottobre non sarò presente in aula. Non per disinteresse, ma per prendermi cura di me stessa. Sono più di 11 mesi che continuo ad avere incubi, 11 mesi che il mio sonno è inesistente o irrequieto. La mia salute mentale e soprattutto quella fisica ne hanno risentito. Ho perso il conto delle visite mediche che ho dovuto fare nell'ultimo anno», scrive in una storia su Instagram. «Seguirò a distanza anche tramite i miei legali, tuttavia non parteciperò», aggiunge.
(Unioneonline/L)