Il ricorso è inammissibile.

La Cassazione chiude così il caso di Karen Bergami, la 34enne bolognese esclusa dalla Scuola superiore di Polizia per un tatuaggio sul dorso di un piede, fatto a 16 anni e nel frattempo rimosso.

A dicembre 2018 l’aspirante poliziotta partecipò al concorso per 80 posti, ma la commissione medica l'aveva dichiarata inidonea per il tatuaggio «in zona non coperta dall'uniforme» nonostante la candidata avesse già iniziato la procedura di cancellazione, con il laser, con l'ultima seduta circa un mese prima. Il Tar prima accolse il ricorso cautelare (e Bergami venne riammessa con riserva al concorso e poi ai corsi) poi anche nel merito, a febbraio 2020.

Ma il Consiglio di Stato in seguito ha ribaltato la decisione, sottolineando che il tatuaggio non risultava coperto dall'uniforme. Sempre il Consiglio di Stato aveva respinto, nell'estate 2022, anche un ricorso "per revocazione" di Bergami.

La Cassazione, nella sua ordinanza, si dice «consapevole del fatto che le disposizioni limitative in materia di tatuaggi coinvolgono il tema delle libertà costituzionali, in particolare della libertà di espressione, e che, proprio per questo, il giudice deve evitare, nel momento interpretativo, letture restrittive della normativa regolamentare che si risolvono in un esito discriminatorio per le donne che intendono accedere in Polizia di Stato, tenuto conto della diversa uniforme femminile che, in alcuni casi, non copre in modo identico ai pantaloni». Tuttavia la Corte ritiene comunque non sindacabile il giudizio del Consiglio di Stato.

(Unioneonline/D)

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