Sì all'interruzione delle terapie anche senza biotestamento. Ma solo in determinati casi, e cioè a patto che il paziente abbia precedentemente espresso tale volontà a un proprio "rappresentante", cioè all'amministratore di sostegno designato.

Lo ha stabilito il Tribunale di Roma a proposito del caso di una donna di 62 anni in stato vegetativo irreversibile dal dicembre 2017 e immobile in un letto da due anni. La donna, in passato, ogni volta che veniva a conoscenza di casi di persone in stato vegetativo, diceva che se fosse accaduto a lei mai avrebbe voluto proseguire i suoi giorni in quello stato.

Dopo la sentenza della Consulta dello scorso 25 settembre, che ha aperto al suicidio assistito affermando che l'aiuto al suicidio è lecito in casi estremi come quello di Dj Fabo, e in attesa che riprendano i lavori parlamentari sulla questione, il provvedimento del Tribunale di Roma apre una nuova strada: l'amministratore di sostegno di un paziente, spiega il segretario dell'Associazione Coscioni Filomena Gallo, "può dunque richiedere l'interruzione delle terapie per quel soggetto se lo stesso paziente aveva già espresso in precedenza una volontà in tal senso, pur non avendo fatto un Testamento biologico. L'intervento del Giudice tutelare sarà necessario solo se vi fosse opposizione da parte del medico a procedere".

L'amministratore (e compagno) della 62enne ha presentato un ricorso al Giudice tutelare per poter procedere, previo il ricorso alle cure palliative e sedazione profonda, al distacco dai trattamenti. Grazie a questo provvedimento, "non più casi come Eluana Englaro, in assenza di contestazioni di parenti o medici, con lunghi ricorsi al Giudice tutelare", commenta Gallo.

Con questa "importante pronuncia - conclude - il Tribunale mette in primo piano la volontà della persona, evitando che, come nel caso Englaro, per anni si sia costretti a combattere nei Tribunali per vederla riconosciuta".

(Unioneonline/D)
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