Avrebbe pianificato di uccidere prima Chamila Wijesuriya, la barista 50enne dell'hotel Berna di Milano, e poi il collega Hani Nasr, che si è difeso ed è sopravvissuto, Emanuele De Maria, il detenuto evaso da Bollate che si è ammazzato ieri gettandosi dal Duomo.

Questa l'ipotesi del pm di Milano Francesco De Tommasi nell'inchiesta sulla tragedia in cui la donna è morta, accoltellata alla gola.

Il pubblico ministero ha disposto le autopsie anche per accertare se l'uomo, autore di un omicidio e di un tentato omicidio premeditati, avesse assunto sostanze stupefacenti

Le indagini stanno ricostruendo le ultime 48 ore di vita di De Maria, tra l’evasione e il suicidio, anche per capire se qualcuno, ignaro del suo piano, gli abbia dato ospitalità.

Gli accertamenti stanno cercando di appurare cosa abbia fatto negli orari in cui è sparito dai monitor delle telecamere e dalle celle telefoniche. Al momento si sa che ha spento il cellulare e ha chiamato la madre e la cognata con il telefono di Chamila - che poi ha gettato in un cestino in via Bignami - per chiedere "perdono" e spiegando loro di aver fatto una "cazzata".

Dopo le 17 di venerdì, quando è stato ripreso sulle scale della metropolitana, di lui si sono perse le tracce fino alla mattina dopo, quando alle 6.17 è arrivato all'Hotel Berna e ha tentato di uccidere il collega. Poi è sparito di nuovo, fino a quando ieri poco prima delle 14 si è gettato dalla terrazza del Duomo, dove era salito come un normale turista pagando il biglietto e senza essere riconosciuto in quanto i controlli riguardano armi, esplosivi o altro, e non l'identità delle persone.

Hani Nasra, il collega che è sopravvissuto, è già stato sentito da inquirenti e investigatori, e ha spiegato di aver messo in guardia la 50enne, consigliandole di interrompere la relazione in quanto il 35enne aveva una condanna definitiva per aver accoltellato a morte, nel 2016, un'altra donna.

Intanto diventa un caso il suo permesso di lavorare all’esterno del carcere. E finisce al vaglio del ministero della Giustizia.

Si è espresso anche il sindaco di Milano Beppe Sala: «Capisco lo sgomento, perché indubbiamente è una cosa che è difficile da spiegare ai cittadini di come, dopo un omicidio, la condanna sia di 14 anni e dopo non molti anni il condannato possa uscire. Sono le leggi però, per cui non saprei neanche che commento fare».

Ma Daniele Tropea, legale dell’omicida che stava scontando la pena per un femminicidio commesso nel 2016, afferma che De Maria «meritava il permesso di lavorare all’esterno visto l’ottimo percorso che aveva fatto all’interno del carcere».

«La sua posizione – dichiara l’avvocato - era stata valutata dall'area educativa del carcere di Bollate e dal magistrato di Sorveglianza di Milano. Non mi sarei mai aspettato nulla di quanto accaduto e nemmeno che De Maria potesse trasgredire le regole».

(Unioneonline/L)

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