Dietro le parole di Cesare Battisti, l'ex terrorista interrogato tre giorni fa al carcere di Massama, ci potrebbe essere "un pentimento" ma "potrebbe trattarsi di una strategia per ottenere sconti di pena".

A sollevare il dubbio e Vauro Senesi, uno dei firmatari dell'appello che nel 2004 è stato promosso da un gruppo di intellettuali a favore di Battisti. "Allora - aggiunge - certi suoi comportamenti discutibili che hanno provocato la reazione dei parenti delle vittime non si erano ancora manifestati".

E le parole del detenuto stanno facendo discutere: "Io non sono un killer - si legge nel verbale dell'interrogatorio che ha reso davanti ai magistrati - ma sono stato una persona che ha creduto in quell'epoca nelle cose che abbiamo fatto e quindi la mia determinazione era data da un movente ideologico e non da un temperamento feroce, quando in una cosa sei deciso e determinato".

E su quanto accade oggi "provo una sensazione di disagio ma all'epoca era così", spiega al pm Alberto Nobili che lo accusa di "freddezza" nel compimento di quelle azioni.

LA MALAVITA - "Non ho mai avuto a che fare in alcun modo con esponenti della malavita organizzata sia italiana che straniera - chiarisce ancora Battisti -, avrei in modo irreparabile compromesso la mia immagine di rifugiato politico ed era contrario a qualsiasi mia concezione; non posso certamente escludere che fra tante frequentazioni che ho avuto occasione di intrattenere nei 37 anni di latitanza possa essermi imbattuto in persone appartenenti al mondo del crimine comune, ma se questo fosse accaduto sicuramente lo è stato a mia insaputa".

LE SCUSE - "Io non posso che chiedere scusa ai famigliari delle persone che ho ucciso alle quali ho fatto del male perché penso che la lotta armata è stata un movimento disastroso - dice l'ex terrorista condannato all'ergastolo - che ha stroncato una rivoluzione culturale e sociale che aveva preso avvio nel 1968 con prospettive sicuramente positive per il Paese ma che proprio la lotta armata contribuì a stroncare".

E aggiunge anche che "pur non potendo rinnegare che in quell'epoca per me e per tutti gli altri che aderirono alla lotta armata si trattava 'di una guerra giusta', oggi non posso che confermare quel disagio di cui ho parlato nel ricostruire il mio passato o rivivere momenti che non possono che suscitare una mia revisione del passato che all'epoca ritenni giusto". Quindi "parlare oggi di lotta armata per me è qualcosa privo di senso".

LA RETE DI AIUTI - Nei periodi di latitanza, racconta, "sono stato sostenuto da partiti, gruppi di intellettuali, soprattutto nel mondo editoriale, come sostegno ideologico e logistico. Tra gli italiani nessuno mi ha mai aiutato o ha favorito la mia latitanza; io sono stato sostenuto per ragioni ideologiche di solidarietà e posso anche dire che non so se queste persone si siano mai chieste se io fossi effettivamente responsabile dei reati per cui sono stato condannato".

"Ho sempre professato la mia innocenza - sono le parole di Battisti -, ciascuno è stato libero di interpretare questa mia proclamazione come meglio ha creduto, ma posso dire che per molti di questi il problema non si poneva, andava semplicemente sostenuta la mia ideologia all'epoca dei fatti. Io sono stato appoggiato per una pluralità di ragioni che vanno sia dal fatto che mi proclamavo innocente, sia dal fatto che in molti paesi non è concepibile una condanna in contumacia e sia perché io cercavo di dare di me l'idea di un combattente della libertà, come io mi sentivo per i fatti degli anni '70".

"Ero ritenuto un intellettuale, scrivevo libri, ero insomma una persona ideologicamente motivata, per cui nessuno sentiva il bisogno di agire contro di me. Questo mio ruolo da intellettuale era anche una precisa garanzia che, a prescindere dal mio passato ero ormai una persona non più da ritenersi pericolosa e quindi, anche per questo motivo, nessuno mi ha dato la caccia".

TORREGIANI E SABBADIN - "Tengo a dire - fa mettere a verbale - che nei confronti di Torregiani e di Sabbadin la maggior parte del gruppo dei Pac, me compreso, aveva deciso di procedere, per ragioni politiche, al solo ferimento".

Poi però "accadde che il Torregiani reagì sparando e pertanto il volume di fuoco nei suoi confronti fu tale da determinarne la morte". Sull'omicidio di Mestre, invece, Battisti dice di aver avuto un ruolo "di copertura".

"Il mio primo omicidio - dice - è stato quello del maresciallo Santoro", il capo delle guardie carcerarie di Udine; "la prima azione contro persone fisiche cui ho partecipato fu commessa a Milano nei confronti di Fava", il medico "colpevole" di non concedere troppo certificati medici agli operai dell'Alfa Romeo.

(Unioneonline/s.s.)
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