ll più importante studio d’impatto ambientale sugli impianti eolici in mare e sulla terra nella nostra regione esiste già ed è in natura. Lo ha fatto il Falco della Regina stabilendo il suo habitat naturale e indicando dunque alcune rotte migratorie. Che sono praticamente in tutta l’Isola. Parola di Domenico Ruiu, 75 anni, fotografo naturalista, esperto di avifauna e autore di alcuni dei più importanti lavori pubblicati sull’ambiente della Sardegna.

Quindi lei sostiene che non ci sia bisogno di fare studi, basta osservare il Falco della Regina?

«Esattamente, non c’è molto da aggiungere. Il Falco della Regina si ciba prevalentemente di uccelli migratori e nidifica sulle coste della Sardegna, sia a oriente che a occidente, deponendo le uova ad agosto a differenza delle altre specie di rapaci. Perché d’estate? Proprio perché dal mese di settembre iniziano le migrazioni. Poi va a svernare in Africa, in Madagascar. E le coste che occupa questa specie ci dicono che i punti di transito più importanti per i migratori non sono solamente il nord e il sud dell’Isola, come verrebbe da pensare. In realtà gli uccelli passano da tutte le parti. Quindi sarebbe più facile indicare le eventuali poche località dove si possono installare i parchi eolici che stilare il lungo elenco di dove non si può, praticamente in tutte le coste sarde».

La Sardegna dunque fa parte delle maggiori rotte migratorie del Mediterraneo?

«Proprio così. L’Isola è inserita in quello che viene chiamato il “ponte sardo-corso”, ossia la rotta degli uccelli migratori da nord a sud e viceversa. Riguarda tutti, dai rapaci, come il Falco di palude o il Biancone, alle tante specie comuni come i Balestrucci, il Pettirosso, l’Airone bianco, il Gruccione, il raro Merlo dal collare e la Tortora selvatica, da non confondere con la Tortora dal collare, che invece è stanziale».

Se si impiantassero i parchi eolici proposti, dunque, quale sarebbe il danno in termini numerici per l’avifauna nell’Isola?

«Quantificarlo non è semplice, però voglio fare un paragone che aiuta a capire quanti uccelli transitano nell’Isola: solo nell’area del sud ovest della Sardegna l’uccellagione praticata per catturare i tordi necessari per confezionare le famose “grive” comportava, sino agli anni Settanta del secolo scorso, la morte di un milione di esemplari. Immaginate quanti possono essere quelli che transitano nell’intera Isola nel periodo della migrazione. Per loro sono tanti i pericoli rappresentati dalle pale eoliche».

Per esempio, ne può citare qualcuno?

«Gli uccelli in determinate condizioni meteorologiche, come nebbia o pioggia, rischiano di non vedere le pale sistemate in mare, che peraltro, in condizioni ottimali, possono rappresentare un’attrazione per animali sfiniti dal lungo volo. Può capitare che li scambino per possibili posatoi con il risultato di vere e proprie stragi. Da attrattore fanno inoltre le luci notturne, con le conseguenze facilmente immaginabili. Per renderle più visibili nei paesi del nord si stanno sperimentando pale nere e non bianche; parrebbe che così siano più evidenti e meno “attraenti”. Il massimo degli interventi di tutela ad oggi si attua in Giordania, dove le pale vengono spente nelle fasi di più intenso traffico migratorio».

Però si sostiene che gli impianti saranno sistemati molto al largo e quindi l’impatto sarebbe minore?

«L’Isola del Toro, nel Sulcis, a dodici miglia di distanza dalla costa, è frequentatissima dall’avifauna proprio perché molto distante dalla terraferma così come i piccoli scogli appena emergenti che rappresentano comunque un approdo sicuro per gli uccelli migratori. Per loro rappresentano la possibilità di interrompere il lungo viaggio. Gli uccelli sfiniti possono dunque scambiare con facilità una pala per un luogo di sosta in mare aperto».

Ci sono studi, fatti anche all’estero, sull’impatto di questi impianti?

«So di uno studio spagnolo. Secondo la Ong Seo/Bird Life in Spagna, nella zona dello Stretto di Gibilterra, muoiono almeno 1000 rapaci all’anno per impatto eolico. La Seo ha fatto una convenzione con la società spagnola Vortex Bladeless che produce aerogeneratori senza pale: un cilindro verticale semirigido con una serie di turbine verticali capace di trarre energia dai vortici che si creano dall’impatto del vento con le turbine, che sono certamente meno pericolose».

Insomma, prima di impiantare i nuovi parchi bisogna pensarci due o tre volte…

«L’eolico a mare è osteggiato dai sindaci dei Comuni marini di fronte ai quali si vorrebbero costruire i nuovi parchi. Vorrei ricordare che il valore attuale più alto riconosciuto alla Sardegna è il suo ambiente e che l’ambiente, come prescrive la Costituzione, è un valore primario».

Un valore primario che verrebbe sacrificato ampiamente.

«Non solo. Già oggi la Sardegna è la terza in Italia per produzione di energia eolica, ma abbiamo gli stessi problemi, se non superiori nella nostra regione, per costo e disponibilità di energia. Il problema è che tra eolico on e offshore, fotovoltaico, in Sardegna sono state presentate 190 richieste di impianti per una produzione totale di 30000 Gigawatt annui quando ne consumiamo 8000 e se ne potranno esportare, una volta completato il cavo Tyrrenian Link con la Sicilia, 10 o 15 mila. E gli altri 10000? Mi sembra un ricorso storico, un ritorno ai tempi in cui le foreste sarde vennero devastate per ottenere traversine per la ferrovia nella seconda metà dell’Ottocento o il minerario intenso del 1900, con l’Isola martoriata ma senza ferrovia e vantaggi reali dall’estrazione di minerali (salvo la poco funzionante archeologia industriale). Mi pare proprio ci siano le premesse per cogliere in futuro i non vantaggi reali dell’eolico e invece subire la realtà dell’archeologia delle pale».

Giuseppe Deiana

© Riproduzione riservata