Adesso però c’è qualcosa di insopportabile in tutte queste croci sulle strade sarde. Troppe le vite dei giovanissimi che si sono fermate per sempre. Troppe per continuare a trovare colpe individuali. «C’è un enorme lavoro collettivo da fare sulla sicurezza», concordano sindaci ed esperti. Un lavoro sul sistema della mobilità, da cui passa quel “vivi o morti” che ormai è la roulette russa del mettersi in macchina in Sardegna.

Primo appello

Daniela Falconi, prima cittadina a Fonni, si è svegliata un giorno di ottobre con quattro croci piantate sul suo Comune. Il più grande aveva ventidue anni, il più piccolo diciassette. «Non possiamo lasciare la vita nelle sole mani dei ragazzi. Che continueranno a uscire – dice la sindaca -. Che continueranno a non aver paura di nulla quando guidano. Certamente dobbiamo insegnare di più e meglio il valore del viaggiare in sicurezza. Ma con i tanti soldi pubblici che si sprecano, bisogna investire sulle strade. Perché ci sono tragedie che si possono evitare anche solo modificando i tracciati».

Il sindaco di Cagliari

Massimo Zedda è già al lavoro. Perché oltre Beatrice, anche Guan venne investito davanti a scuola e appena qualche mese prima, l’asfalto di viale Marconi cancellò i sorrisi di Najibe, Alessandro, Simone e Gorgia. «Ci stiamo attivando su vari fronti. Servono interventi urgenti sulla sicurezza, con restringimenti delle carreggiate, attraversamenti pedonali rialzati e ulteriori misure a tutela dei pedoni».

Tutti i dettagli nell’articolo di Alessandra Carta su L’Unione Sarda in edicola e nella versione digitale.

© Riproduzione riservata