Una sfortuna maledetta. Ogni volta che dovevano misurare le sostanze inquinanti o radioattive della “Penisola Delta”, lembo estremo della Sardegna del sud, enclave di Teulada, venivano travolti dal vento. Non una volta, sempre. Lo scrivono senza pudore, quasi a precostituire quel vuoto nelle analisi di veleni e radiazioni che hanno devastato senza ritorno un’oasi protetta, con tanto di decreto, trasformata in un campo di guerra perenne. Qui, nel poligono interforze della Nato a Teulada, unica vera zona franca dell’Isola, in vigore solo per generali e ministri, dove da decenni si consumano senza tregua missili e bombe di ogni genere, vige l’impunità, quella per disastro ambientale. Da una parte i legali dei generali, sotto giudizio al Tribunale di Cagliari, invocano assoluzioni e non luogo a procedere e dall’altra, gli stessi graduati, mettono nero su bianco lo scempio che ha devastato quell’area naturalistica trasformata in una discarica di veleni e pericoli.

Ingorgo penale

Al Ministero della Difesa speravano di non far incrociare le due procedure, quella penale e quella ambientale, ma non sempre le speranze si trasformano in miracoli. Il risultato è evidente. Da una parte i tecnici della Procura di Cagliari hanno scolpito pietre pesanti, con tanto di verdetto documentato e inappellabile: disastro ambientale in tutto il poligono, senza se e senza ma. Dall’altra, invece, le stellette hanno cercato di sconfessare il lavoro della Procura e dello stesso Giudice che ne ha chiesto il rinvio a giudizio con argomentazioni tanto forti quanto inchiodanti. Ora, tra le due posizioni processuali, la prossima udienza è fissata per il 16 giugno prossimo, si insinua un documento destinato a mettere spalle al muro i negazionisti del disastro ambientale. A firmarlo nientemeno che il Comando militare Esercito Sardegna, il braccio avanzato del Ministero della Difesa in terra sarda. Gli atti depositati silenziosamente all’assessorato dell’Ambiente hanno un oggetto che vale un’incriminazione: «Compendio per la rimozione dei residuati da esercitazione dalla Penisola “Delta” di Capo Teulada».

Resa al disastro

Molto più di una confessione, atti e prove che assomigliano più ad una resa che ad un tentativo di rimediare al disastro. C’è di tutto in quei documenti che il Ministero della Difesa ha presentato per dichiarare che loro, generali e ministri, vogliono bonificare ciò che hanno dichiarato imbonificabile. In Procura e in Tribunale hanno cercato di “schivare” il macigno della devastazione ambientale con affermazioni tanto surreali quanto contraddittorie, ma i documenti sono cartacanta. Nei dossier dei palazzi di Roma il passaparola è sempre stato esplicito: ai Giudici bisogna dichiarare che quell’area è sempre stata codificata come «Penisola Interdetta», dove tutto era lecito e impunibile. In realtà, invece, nel documento spedito all’assessorato all’Ambiente per avviare una procedura preliminare all’autorizzazione alla bonifica ambientale, la confessione è disarmante, con tanto di bombe e missili riemersi in quelle aree dimenticate da tutti.

Confessione

La confessione è shock, con tanto di fatti e misfatti, silenzi, opere e omissioni. Il documento in quadricromia vergato dal ministero della Difesa va ben oltre le dichiarazioni spontanee, a partire dagli “sfortunatissimi” tecnici inviati da Roma per misurare inquinamento e veleni nell’area dello scempio a Teulada. Ogni volta che si recavano sul posto c’era una scusa diversa per restare con un palmo di naso, senza poter registrare e documentare una puntuale verifica del misfatto.

Metodo di Stato

Il metodo dell’operazione “silenziatore” applicato all’inquinamento militare a Teulada sembra essere ancora una volta quello adottato da Francesco Riccobono, docente dell’Università di Siena, ingaggiato dal Ministero della Difesa per dichiarare che a Quirra c’era un paradiso terrestre. Il docente toscano, incalzato dai magistrati di Lanusei, ebbe l’ardire di dichiarare che la radioattività del torio nel poligono di Perdasdefogu era scomparsa dalla relazione finale per via di un errore di impaginazione. In realtà, in quell’occasione, come risultò dalle intercettazioni ambientali, a chiedergli di omettere, cancellare, manipolare le indagini erano stati proprio i vertici militari. A Teulada, invece, gli inviati del Ministero della Difesa hanno eliminato alla radice il problema: gli strumenti di rilevazione per via del forte vento non registrano bene e i risultati sono alterati e non validi. Se a Quirra il Torio spariva per un fantomatico errore di impaginazione, a Teulada ci pensava il vento.

Vento & dintorni

A disturbare l’anemometro ci pensò l’Operazione “Pasubio”, dispiegata tra il 2014 e il 2021, in quel ricettacolo di inquinamento da guerra vera, anche se dichiarata, falsamente simulata. Il quadro dei rilievi è un film, tutto girato nella penisola Delta. I vertici militari nel documento finito nelle mani della Regione Sarda illustrano il disastro per capitoli. Si inizia con la sotto zona Alfa : «Sono stati rinvenuti ordigni di svariata tipologia e dimensione, sia a caricamento ad alto esplosivo che da addestramento. La zona è stata impiegata per l’arrivo colpi di bombe da mortaio di piccolo medio calibro, granate da fucile da 40 mm, razzi per la fanteria, missili, submunizioni e/o parti di esse». Sottozona B ravo: «Si tratta di un’area interessata in prevalenza da esplosioni di bombe d’aereo (con conseguenti crateri di grosse dimensioni e accentuata possibilità di occultamento di ordigni in precedenza lanciati e potenzialmente inesplosi). Ulteriori ordigni presenti nella zona sono di tipo navale di vari calibri, oltre al munizionamento sperimentale (in tal caso alcune componenti elettroniche aumentano considerevolmente i rischi dovuti ai campi elettrostatici/magnetici). Il forte vento laterale inficia la stabilità degli operatori e condiziona il corretto funzionamento degli strumenti di ricerca».

Vento rilevatore

Non è finita, c’è la sottozona Charlie: «Elevatissima concentrazione di munizionamento di svariate tipologie ed è probabilmente la zona più impiegata nel corso degli anni. Il personale operante ha potuto appurare come talvolta le raffiche di vento facciano riaffiorare in superficie ordigni e materiali in precedenza non visibili». C’è la sottozona Echo: «Sono state ritrovate varie tipologie di ordigni. Gli operatori hanno riscontrato grosse difficoltà nella messa allo scoperto di ordigni interrati di grosse dimensioni a causa del terreno pietroso». E ancora quel “maledetto vento disturbatore” nella sottozona Foxtrot: «Territorio caratterizzato da forte vento laterale che influisce sia sulla stabilità degli operatori sia sul corretto funzionamento degli strumenti». Insomma, la costante è consolidata: i militari che vanno a cercare l’inquinamento sbandano per via del vento e gli strumenti di rilevazione non funzionano.

Bombe ciclopiche

La confessione diventa una “condanna” quando non possono fare a meno di stilare un primo elenco di bombe che riemergono dall’attraversamento di quello stradello di mezzo metro realizzato nella parte iniziale della Penisola Interdetta. Nel 2017 dalla zona “Delta” emerge una bomba d’aereo Mk 82 da 500 libre, 226 kg di esplosivo, 32 volte il quantitativo di 7 kg usato nella strage di piazza Fontana, nel 2018 vengono “scovate” 4 bombe da 500 libre ciascuna per complessivi 904 kg di esplosivo, il 9 ottobre del 2018 saltano fuori due bombe d’aereo da 1000 libre, ovvero altri 904 kg di “devastazione” ciclopica. L’elenco non si ferma, nel 2019 vengono rinvenute altre Mk81 da 250 libre e altre due, una da 500 e una da mille, idem nel 2020 e 2021. Provano a fare i conti, con una tabella riepilogativa che conteggia il numero di munizioni “dimenticandosi” il peso delle bombe. Arrivano a sostenere, senza vergogna alcuna, che le bombe d’aereo rinvenute ammontano ad appena l’1,05% del munizionamento riemerso da quella discarica di Stato. Peccato che si siano “dimenticati” di conteggiare il peso delle sole bombe d’aereo rinvenute in quel piccolo tratto della Penisola interdetta: 3.742 kg di esplosivo ancora riversi impunemente sul terreno.

Torio radioattivo

Infine, c’è il capitolo Milan, il missile anticarro dotato di puntamento a base di Torio, una sostanza radioattiva molto più pericolosa dello stesso Uranio. Secondo la Procura di Cagliari ne sarebbero stati esplosi 11.785. Stranamente agli atti ci sono solo alcuni ritrovamenti: ne risultano individuati due il 28 marzo del 2018. Tutti gli altri spariti, nessuno sa dove siano finiti, insieme a tutto il carico radioattivo. In quelle aree dove sono stati individuati quei motori del missile a puntamento “nucleare” è stata rilevata un’attività radioattiva superiore di venti volte quella accertata nel suolo. Tutto questo in un sito denominato “Isola Rossa e Capo Teulada”, area ambientale e naturalistica di Interesse Comunitario.

(1.continua)

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