Non è ancora un processo. Per la storia del diritto penale, però, è già un crocevia destinato a segnare per sempre il primato tra la vita e la guerra simulata, tra il rispetto dell’ambiente e un presunto “adempimento del dovere”. Nell’aula numero uno delle Udienze Preliminari del Tribunale di Cagliari, a partire dal prossimo sei maggio, ore dieci e trenta, il contendere è da far tremare le vene ai polsi. Da dirimere c’è una partita senza precedenti nelle aule giudiziarie del Bel Paese, da sempre proteso alla tutela e alla salvaguardia, a parole, del bene supremo dell’ambiente, del paesaggio, del suo habitat naturale. Sempre e ovunque, tranne che nella punta estrema della Sardegna sud occidentale, quel tratto di costa che il Giudice delle Indagini Preliminari non ha esitato a definire di “rara bellezza”. È qui, in questo lembo di terra sarda, Capo Teulada, proteso verso le coste del nord d’Africa, che si consuma uno scontro titanico tra poteri dello Stato, tra valori assoluti, come l’ambiente e la vita, e quello delle guerre simulate che, secondo l’accusa, devastano salute e territorio.

Il dilemma del “dovere”

Da dirimere c’è un atavico dilemma che in questa porzione di Sardegna, segregata e vietata, dura dall’età dei tempi, almeno da quelli di Andreotti e Nixon, Presidente degli Stati Uniti d’America. Un dilemma che, in questa prima fase del procedimento giudiziario, si è risolto alla vigilia di Ferragosto dello scorso anno con una decisione tanto imponente quanto rivoluzionaria del Giudice per le Indagini Preliminari, Alessandra Tedde: non esiste alcun principio giuridico che possa far prevalere un presunto “adempimento del dovere” a scapito di valori costituzionalmente tutelati come l’ambiente e la salute.

Vietato inquinare

In sostanza, nessuno è autorizzato a inquinare, devastare un territorio, mettere a repentaglio la salute dei militari e dei civili, degli animali e più in generale dell’habitat naturale, in nome e per conto della pur importante funzione di esercitare le forze armate. Quella che si celebra a Cagliari è molto di più di un’Udienza Preliminare, in ballo c’è un sotterraneo scontro tra i vertici militari, sostenuti dalla politica più guerrafondaia, e il principio stesso di Stato di diritto. In pratica i Giudici cagliaritani sono chiamati ad un compito al quale mai nessuno, in maniera così esplicita, era stato destinato: decidere se le basi militari sono una “zona franca” delle leggi, dove norme e disposizioni, dalla tutela ambientale a quelle sulla sicurezza dei militari e dei civili, vengono sistematicamente disattese, ignorate e violate, oppure appartengono, a tutti gli effetti, alla potestà ordinamentale dello Stato. Per essere più espliciti: le leggi della Repubblica valgono anche dentro i confini circoscritti da chilometri di filo spinato delle basi militari? Hanno l’efficacia che avrebbero in qualsiasi altro contesto territoriale dello Stato italiano? La domanda sembrerebbe retorica, ma leggendo i dispositivi, di difesa e di accusa, la risposta è tutt’altro che scontata. Sono tre i provvedimenti-pilastro di questa che si annuncia come una vera e propria guerra giudiziaria, destinata a tenere i riflettori accesi su larga scala, visto il peso e le funzioni degli uomini chiamati a difendersi, per il momento dalla “sola” accusa di aver provocato un “disastro innominato”.

Il bene della vita

Un reato che l’articolo del codice penale, nella sua declinazione, traduce in una possibile condanna da uno a cinque anni di carcere, sino alla fattispecie più grave da tre ai dodici. Non uno strapuntino giudiziario, ma una di quelle norme tra le più severe, destinate a colpire chi, in violazione di puntuali disposizioni, avesse ignorato o peggio violato deliberatamente la gerarchia dei valori da tutelare, a partire dall’ambiente sino al bene estremo della vita umana. Lo scontro è sì sul piano del diritto, ma in questa contesa, storica per la Sardegna, si intrecciano elementi che renderanno campale un eventuale processo su questa che appare sempre di più come una sfida tra poteri, senza esclusione di colpi. Nessuno lo può dire e tantomeno confermare, ma la sfida è anche tra organi dello Stato, da una parte il Ministero della Difesa, dall’altra la Magistratura chiamata a ristabilire la realtà dei fatti e ripristinare lo stato di diritto in una parte della Sardegna che, dagli anni sessanta ad oggi, è stata violentemente espropriata e devastata.

Lesa maestà

I vertici militari, da sempre, vivono le “interferenze” della Magistratura e non solo come una sorta di “lesa maestà” ritenendo le esercitazioni militari al di sopra di tutto e di tutti, a tal punto da legittimare qualsivoglia comportamento, in dispregio di norme puntuali che, soprattutto dal 2006 in poi si sono fatte più stringenti e puntuali. Ora, con le recenti decisioni della Magistratura cagliaritana, a prescindere dall’esito dell’Udienza Preliminare fissata per domani mattina dal Presidente Giuseppe Pintori, è venuta meno quella sorta di “copertura” di Stato a quanto è accaduto sino ad oggi dentro il poligono di Capo Teulada. Una sorta di silenzio-assenso che aveva sino ad oggi “protetto” i vertici militari sino a ritenerli al di sopra delle leggi. Quella considerata da sempre un’area inviolabile è, invece, ora, a giudizio, con 13 faldoni e 4 cartelle, che segnano la storia di un’inchiesta tanto articolata quanto approfondita portata avanti da un Pubblico Ministero esperto e navigato come Emanuele Secci. Una radiografia approfondita come non mai su quanto è accaduto in quella “segregatissima” area militare, con conclusioni da far impallidire il più acerrimo nemico delle servitù militari.

860 mila colpi

I numeri di quel disastro ambientale “innominato” sono da far rabbrividire, con cifre capaci di interdire i guerrafondai dell’ultima guerra: sulla penisola Delta di Capo Teulada, dal 2008 al 2016, sono stati esplosi la stratosferica cifra di 860 mila colpi a fuoco. Gli effetti sono stati devastanti, tali da far convincere lo stesso Pubblico Ministero dell’esistenza di un vero e proprio disastro. Le conclusioni di quell’imponente inchiesta, però, non trovarono d’accordo il Pubblico Ministero e il Giudice per le Indagini Preliminari. Il PM si è scontrato con un vero e proprio muro di gomma del Ministero della Difesa che ha reiteratamente affermato che quella “devastazione ambientale” era la diretta conseguenza, espressa «nella sua totalità» dall’amministrazione della Difesa, «dell’adempimento del dovere, imposto dalla legge, di addestrarsi in modo adeguato ed efficace, per assolvere nel migliore dei modi ai compiti loro assegnati, attraverso l’impiego di mezzi e modalità di esercitazione». La conclusione del Pubblico Ministero fu la richiesta al Giudice per le Indagini Preliminari di «archiviare» il procedimento penale a carico dei vertici del Ministero della Difesa. Il colpo di scena è pochi mesi dopo, quando Alessandra Tedde, Giudice per le Indagini Preliminari, con una decisione destinata a restare negli annali dell’autorevolezza giudiziaria cagliaritana, decide di rigettare la richiesta di archiviazione formulata dal Giudice inquirente. Diciannove pagine, come una vera e propria sentenza, in cui si riafferma lo Stato di diritto, quello dove nessuno, nemmeno i vertici della Difesa italiana, hanno il “salvacondotto” per violare. E il Giudice lo dice a ragion veduta, facendo propria, in toto, l’inchiesta messa in campo da Emanuele Secci, che fornisce, per la prima volta sul piano giudiziario, una vera e propria mappa del disastro di Teulada, dai residuati bellici radioattivi alla devastazione ambientale, dall’alterazione permanente dei luoghi e dei beni naturalistici e archeologici, passando per le potenziali conseguenze devastanti sulla salute umana. Insomma, alla fine dei conti, tra pubblica accusa e giudice “preliminare” si registra una sostanziale convergenza sui fatti: disastro ambientale, a tutti gli effetti, senza appello.

Niente “salvacondotti”

Su tutto, tranne su un punto: l’adempimento del dovere, o meglio la ragion di Stato. Alessandra Tedde ritiene che il lavoro svolto dal Pubblico Ministero e dagli organi inquirenti non possa finire negli scaffali d’archivio del Palazzo di Giustizia, soprattutto quando i fatti sono così inchiodanti come quelli emersi nel corso dell’inchiesta. E il Giudice lo scrive apertis verbis: «È sul profilo soggettivo che non si condivide la richiesta del Pubblico Ministero, laddove si inquadra la vicenda sotto la lente della scriminante dell’adempimento del dovere da parte degli alti funzionari dell’esercito oggi chiamati in causa». È nella sostanza che il giudicante ritiene che non esista la «scriminante dell’adempimento del dovere», soprattutto quando si profila una “scusa” «derivante dagli impegni internazionali assunti dall’Italia sui fronti di guerra e della necessità di istruzione ed addestramento del personale militare» portando al convincimento che «il valore ambientale doveva ritenersi inevitabilmente soccombente e passibile di sacrificio». Se anche fosse vero, e cioè che gli obblighi militari internazionali imponessero quel tipo di esercitazioni, elemento questo ritenuto dal Giudice “indimostrato”, questo «non implica che lo svolgimento delle attività dovesse essere esente da ogni regola e norma di precauzione, attenzione e cautela, ovvero che, dopo il suo utilizzo, la zona non dovesse essere poi fatta oggetto di bonifica». La conclusione del Giudice che porta i massimi vertici della Difesa alla Camera di Consiglio di domani è tutta nella Carta delle leggi: i valori di rango costituzionale della Tutela Ambientale e la Salute dell’uomo non possono mai soccombere.

I Generali

Per questa ragione, con una delle decisioni più coraggiose e autorevoli della storia giudiziaria, da domani, davanti al Giudice Giuseppe Pintori, dovranno comparire i massimi vertici della Difesa: Giuseppe Valotto, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito dal 2009 al 2011, Claudio Graziano, stesso ruolo dal 2011 al 2015, Danilo Errico, Capo del Terzo Reparto dello Stato Maggiore dal 2008 al 2013, Domenico Rossi Sottocapo di Stato Maggiore dal 2010 al 2013, e infine Sandro Santroni Comandante Regione Sardegna dell’Esercito sino ad ottobre del 2010. Devono tutti rispondere di “Disastro innominato” con l’accusa di aver permanentemente devastato una porzione importante della costa della Sardegna, quella di Capo Teulada, «colpita e irrimediabilmente compromessa nel suo naturale equilibrio biologico, con effetti distruttivi e di alterazione dell’ecosistema capaci di generare effetti nocivi sull’ambiente e sulle persone».

Processo & «fuoco»

Quando il Presidente Giuseppe Pintori domani mattina aprirà la Camera di Consiglio a Teulada e Quirra si sparerà come non mai, missili e artiglieria pesante per una delle più imponenti esercitazioni programmate all’ultimo momento, direttamente a ridosso dell’appuntamento giudiziario. Nessuno lo dirà mai: i vertici della Difesa, però, cercheranno in ogni modo di far sentire nelle aule del Tribunale e non solo il peso di quel presunto “adempimento del dovere”, al quale i legali si aggrapperanno in ogni modo per giustificare la devastazione di Teulada. Con le carte in possesso dei Giudici, però, sarà difficile far passare la mozione degli affetti di Stato. Difficile far prevalere un invocato “salvacondotto” militare sull’incedere di contaminazioni radioattive, nanoparticelle, distruzione di promontori e devastazione di coste esclusive. Agli atti del procedimento penale 9739/2019 c’è la mappa del disastro, con le prove, quelle che inchiodano.

(1.continua)

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