Lo scontro è sottotraccia, come i metalli pesanti che la chiatta perforatrice sta sondando nelle secche del porto industriale del Sulcis. Quella trivella posizionata su una rabberciata zattera per carotaggi sottomarini da giorni perlustra lo specchio acqueo su cui si riverbera l’ombra lunga della ciminiera della Centrale Enel di Portovesme. Si cerca la stratigrafia dei veleni, quelli affondati per decenni nel mare davanti ad una delle aree più inquinate d’Italia. In quel bacino diventato porto senza fondali i veleni ci sono eccome, ma nessuno riesce o vuole misurarli.

Il ballo dei veleni

Più che dati certi, ogni sondaggio davanti alla banchina est, fa emergere oscillazioni di ogni genere, tanto che adesso a fare ricorso a quel mesto bucare in profondità sott’acqua pare sia il contenzioso tra Consorzio industriale di Carbonia-Iglesias e l’impresa che nel lontano 2016 si aggiudicò, senza mai iniziarli, i lavori per l’escavo del Porto industriale. Il conflitto, pronto ad approdare nelle aule giudiziarie, sui cumuli di piombo e zinco accumulatisi nei fondali di Portovesme, però, è niente rispetto alla guerra che si sta scatenando sul disastro ambientale e sulle ripercussioni sulla salute umana di quel rigassificatore che la Snam, per conto del governo Draghi, vorrebbe piazzare nell’inaccessibile banchina est del porto industriale del profondo Sulcis. Guerra santa, con porte in faccia, e drammatiche ammissioni che riaprono in modo cruento la ferita mai rimarginata dell’inquinamento industriale di quest’area violentata e abbandonata.

Scontro sulla salute

Lo scontro è titanico, da una parte l’Istituto Superiore di sanità, la massima autorità in materia di salute pubblica, e dall’altra la Snam, la società che, d’intesa con il Governo, vorrebbe dare un contentino di gas all’unica regione d’Europa senza metano. Dopo il capitolo poco edificante di una nave ciclopica, costata 269 milioni di euro, da trasformare da gasiera a rigassificatore galleggiante, la Golar Arctic, che non può entrare in porto per la mancanza di fondali sufficienti, ora è la volta di una questione tanto cruenta quanto dimenticata: la salute dei lavoratori, dei cittadini e dell’ambiente. Un capitolo “Portovesme” che si riapre con la virulenza di dati devastanti che sul piano sanitario dovrebbero far sobbalzare chiunque. Il dossier che doveva restare segregato nelle stanze del Ministero della Transizione “Eco-eolica” è finito nelle pagine d’inchiesta del nostro giornale con la pubblicazione di quel parere tranchant dell’Istituto Superiore di Sanità: quel rigassificatore piazzato nel bel mezzo del porto industriale «determina un contributo aggiuntivo alle concentrazioni ambientali degli inquinanti in aria».

La bocciatura sanitaria

Le conclusioni dell’organismo statale in materia di tutela della salute pubblica non concedevano appello: «Il progetto presentato da Snam non è condivisibile ai fini della tutela della salute della popolazione residente nell’area». Il quadro prospettato dal dipartimento ambiente e sanità dell’Istituto superiore era fin troppo chiaro: tutti i valori ambientali, da sommare, portano i dati d’inquinamento abbondantemente sopra le soglie massime di rischio sanitario. Affermazioni pesanti, per chi pensava che nel Sulcis la questione ambientale fosse sotto controllo. La realtà, invece, è tutt’altro.

Secchi di veleni

Lo scandalo dei secchielli di plastica utilizzati per misurare le ricadute ambientali sul territorio, denunciato nei giorni scorsi dal nostro giornale, ha scoperchiato il tema dei controlli e dell’affidabilità delle verifiche ambientali e sanitarie. È per questo motivo che ogni affermazione sulla salute del territorio va soppesata e verificata con le precauzioni che si devono avere quando si riscontrano comportamenti superficiali e negligenti, per non ipotizzarne di più gravi. Il quadro che emerge dai documenti in nostro possesso è a dir poco allarmante. L’Istituto Superiore di Sanità era stato caustico nell’attaccare senza remore il lavoro della Snam.

Omissioni & dati soft

Accuse forti, tutte messe nero su bianco nel documento pubblicato dal nostro giornale: avete usato come dati di riferimento per analisi ambientali quelli del lockdown del 2020; è stato ipotizzato uno scenario di traffico terrestre ottimistico e poco realistico; soprattutto nel calcolo dell’impatto del rigassificatore sono stati ignorati i dati delle emissioni legate alla ripresa delle attività industriali. La bocciatura di quell’infrastruttura galleggiante è stata senza appello: in quell’area non si possono far gravare nuovi agenti inquinanti. La Snam, però, dopo aver speso la bellezza di 269 milioni di euro per comprare quella nave da 291 metri di lunghezza e con un pescaggio di oltre nove metri, senza compiere le necessarie verifiche e senza avere alcuna autorizzazione preventiva al posizionamento di quella mega gasiera a Portovesme, ora non ci sta a soccombere. I toni verso il parere dell’Istituto superiore di Sanità non sono concilianti e semmai rispediscono al mittente le accuse su dati e analisi, ambientali e sanitarie, tutte da fare. In quelle 47 pagine di botta e risposta con le quali la Snam replica al parere dell’Istituto Superiore di Sanità, si chiama in causa pesantemente la sanità pubblica sarda con una lettera inviata direttamente ai vertici della Asl del Sulcis.

Missiva Snam

Nella missiva si chiede di conoscere tutto ciò che sarebbe dovuto essere alla base del progetto del rigassificatore. Ci sarebbe dovuto essere, appunto, ma che non c’è. Il quadro della situazione e della superficialità con la quale il Governo per primo ha deciso di insediare il “galleggiante” nel Sulcis è disarmante. E la richiesta della Snam alla Asl per un incontro è la prova provata che si brancola nel buio. La missiva è un rosario di elementi pressanti che lasciano comprendere la gravità della situazione:«I dati da esaminare per valutare lo stato di salute, anche alla luce di commenti già ricevuti in precedenza da ISS, secondo la Scrivente (la Snam) dovrebbero essere i dati di mortalità, i dati di ricovero, ed i dati di incidenza tumori qualora il territorio interessato sia coperto da un registro tumori di popolazione».

Registro tumori

Ed è questo uno dei passaggi più cruenti e devastanti dell’intera posta in gioco: il registro tumori. La Snam sa perfettamente che nel Sulcis non esiste, che non è stato mai attivato nonostante una legge regionale e che, soprattutto, quel registro non è dietro l’angolo. Una partita a scacchi sulla salute dei cittadini e dei lavoratori, visto che l’Istituto superiore di Sanità ha chiesto che i dati di incidenza dell’inquinamento si possano riscontrare sia sulla popolazione residente nel comune di Portoscuso e nei paesi limitrofi, sia nella popolazione occupata nell’area industriale.

La confessione del rischio

Nei meandri della risposta della Snam all’Istituto della Sanità, però, un dato emerge in tutta la sua gravità. L’organismo sanitario, tra i motivi del diniego all’operazione “galleggiante”, aveva fatto rilevare che l’analisi del progetto di Snam aveva ignorato sul piano dell’inquinamento la possibile riapertura di Eurallumina e della ex Alcoa. E senza tema di smentita era stato ipotizzato dall’organo di controllo statale che quei fattori aggiuntivi avrebbero palesemente portato sopra soglia il grado di inquinamento dell’intera area. La società del gas statale è stata costretta a rifare i calcoli sulla sommatoria inquinante di tutti gli impianti industriali di Portovesme: il risultato è devastante.

Rischio triplo

La soglia di rischio ammessa per inalazione (Hazard Index) è stabilita in un valore massimo di (1) uno, il risultato che emerge dal calcolo è, invece, di 2,854, ovvero quasi tre volte tanto quanto previsto dall’indice di rischio. La Snam attribuisce questo superamento del valore di rischio al superamento del PM2,5, ovvero il “particolato fine”, quello più insidioso e pericoloso per la vita umana. Si tratta di micropolveri di natura antropica (industrie, riscaldamento, traffico veicolare e processi di combustione in generale). Una volta inalate sono in grado di penetrare in profondità nel sistema respiratorio umano superando la barriera tracheo-bronchiale e raggiungendo la zona alveolare. Secondo l’Agenzia Europea dell’ambiente nel rapporto 10/2019 nei 41 paesi del continente europeo si sono registrati, nel 2016, 412.000 decessi prematuri attribuiti all’esposizione a polveri fini.

Bambini, anziani e malati

Per il Ministero dell’Ambiente «le particelle fini possono attraversare la barriera alveolare, passare nel circolo sanguigno ed essere assorbite dai tessuti. Più vulnerabili ai rischi connessi all’esposizione a inquinanti atmosferici, sono i soggetti con patologie cardiache o polmonari, i bambini e gli anziani». Tutti dati fuori soglia che si riscontrano per gran parte delle sostanze sottoposte a verifica, con riferimento ai risultati prodotti dalle tre centraline Arpas, posizionate nel territorio di Portoscuso e gestite dalle strutture di Cagliari dell’Agenzia per la protezione dell’Ambiente.

Secchielli e centraline

Un capitolo, quello delle analisi sul territorio, che lascia aperti tanti dubbi, non foss’altro che lo scandalo di quei secchielli appesi sotto gli alberi, utilizzati come deposimetri, ha aperto uno squarcio di verità sui controlli ambientali in Sardegna. E per rendersi conto che non tutto è in ordine basterebbe farsi un giro intorno alla centralina di monitoraggio al centro di Portoscuso, per accertarsi che, probabilmente, è posizionata sopravento rispetto ai punti inquinanti di emissione o peggio risulta circondata da vegetazione rendendo molto più labile la capacità di controllo dell’inquinamento. Insomma, ci voleva il rigassificatore per squarciare silenzi e omissioni.

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