La scalata in terra sarda è secretata in uno scacchiere societario da far invidia ai più misteriosi paradisi fiscali delle isole Cayman. Centinaia di intrecci, società per azioni e minuscole srl, crocevia di affari e rapporti ad alta quota, non sempre indenni da ombre e inchieste. Da intercettare non c’è solo il vento dominante che si infrange su pianure e alture di Sardegna. Da mettere nero su bianco ci sono progetti altisonanti, capaci di far introitare milioni di euro come un fiume in piena, dalle pendici di Ossi, provincia di Sassari, alle terre promesse della Marmilla e del Campidano. L’ultimo assalto alla storia millenaria della Sardegna è la classica goccia che fa traboccare un vaso d’affari già stracolmo di pale eoliche e incentivi, una grande abbuffata alle spalle dei sardi pianificata nel silenzio di chi avrebbe dovuto dichiarare guerra all’invasione di imponenti grattacieli d’acciaio, tutti protesi verso il vento di Sardegna, a far ombra a nuraghi e tombe di giganti.

Arrampicata eolica

I tasselli sull’arrampicata eolica alla Reggia nuragica di Barumini, rivelati nell’inchiesta pubblicata ieri dall’Unione Sarda, si “arricchiscono”, ora dopo ora, di dettagli inquietanti capaci di svelare un sistema imponente. Dalle terre della Padania, da Milano e Verona, si stanno, infatti, pianificando castelli societari e improbabili imprese per circondare di pale eoliche ogni angolo di Sardegna, sino a colonizzarla ai piedi della sua più antica civiltà, quella nuragica. Lo schema che emerge è blindato: in poco meno di un anno, tra marzo del 2021 e quello del 2022 la Camera di Commercio di Milano, Monza, Brianza, Lodi ha registrato una caterva di società con un denominatore fisso: Sardegna. A margine la parola chiave: wind, il vento. Infatuati dall’idea di ombreggiare, con impressionanti pale rotanti, nientemeno che il proscenio de “Su Nuraxi”, si sono dedicati al Campidano come se fosse terra loro, da sconquassare in lungo e in largo con progetti presentati come un’avanzata lenta e inesorabile, a cerchi concentrici, prima ampi e ora sempre più stretti.

Scacchiere a tavolino

Dai dati in nostro possesso emerge uno schema preciso nella presentazione dei progetti non solo in ambito ministeriale, ma anche con procedure regionali. Non si tratta, quindi, di un fatto episodico. È sintomatico che la Sardegna sia stata divisa in almeno sette aree, a significare che le società sono apparentemente e fiscalmente diverse anche se poi convergono, tutte, in un progetto unitario, con un solo uomo al comando. Un nome capace di relazioni senza convenevoli, con politici, banche d’affari, fondi finanziari e qualche frequentazione non sempre di rango eccelso.

Holding del vento

Prendiamo il caso del Campidano e della Marmilla. I progetti presentati e riconducibili alla stessa società holding sono ufficialmente quattro: due depositati la scorsa settimana al Ministero dell’Ambiente, quelli direttamente intorno alla Reggia nuragica di Barumini, uno contiguo a maggio dello scorso anno e un altro ancora che emerge dai meandri dalle procedure regionali con un progetto di sette pale da conficcare a ridosso delle altre tre pianificate centrali eoliche. A presentare i progetti intorno alla Reggia di Barumini è stata la “Grv Wind Sardegna n.6”, per complessive 26 pale, alle quali vanno sommate le 7 presentate, sempre di fatto contigue a Su Nuraxi, dalla società “Grv Wind Sardegna n.7”, ubicate nel territorio di Villanovafranca, ed ora il quarto progetto, stranamente dimensionato per evitare la trafila procedurale ministeriale, presentato alla valutazione ambientale regionale appena lo scorso anno. In campo per la procedura in capo alla Regione sarda hanno schierato la “Grv Wind Sardegna n. 4”.

Unico proprietario

Tre società apparentemente diverse, almeno fiscalmente, ma tutte riconducibili ad un unico soggetto, per quattro progetti tutti posizionati in continuità fisica e territoriale l’uno con l’altro. Dunque, un vero e proprio scacchiere eolico posizionato in maniera frazionata, ma chiaramente funzionale ad un disegno ben preciso: mettere le mani sul vento e sulla terra di Sardegna, nel caso specifico nell’anello di congiunzione tra la Marmilla, Campidano e Trexenta. Ma non è tutto: la holding, sede in via Durini a Milano, ma cuore pensante nella terra di Romeo e Giulietta, nell’antica Verona, ha dispiegato nell’ultimo arrembaggio al vento di Sardegna anche la quarta società eolica, la “Grv Wind Sardegna n.3”, che alla fine del 2021 ha presentato al Ministero dell’Ambiente l’ennesimo progetto eolico per aggredire il cielo di Ossi, alle porte di Sassari. Gli interessi di quest’ultimo periodo, però, confermano la predilezione per il crocevia tra Barumini, Villanovafranca, Guasila e Samatzai.

40 pale, 231 megawatt

In quell’area la “Gr Value”, capofila e detentrice del 100% di queste società matrioska, ha di fatto presentato progetti per impiantare ben 40 pale eoliche da oltre 200 metri d’altezza, per oltre 231 megawatt di potenza elettrica, uno dei più grandi parchi eolici dell’Isola, dichiarato frazionato, ma che in realtà sarà un tutt’uno. A questi si aggiungono, sempre su quel versante, presentati da altre multinazionali, altri progetti, sempre frazionati, capaci di espandere a dismisura la devastazione paesaggistica che risulterebbe drammaticamente aggravata se anche solo una parte di questi piani andasse in porto.

Passato «pesante»

Sin qui lo scenario sul campo, quello un tempo destinato alla florida coltura agraria ed oggi, invece, merce di scambio per “affettatori” di vento e affari venuti da lontano, con una catena di relazioni segnata nel tempo. La storia di questa scalata in terra sarda, infatti, affonda le radici nell’anno 2006, quando un “doge” veronese assume il ruolo di Presidente del Consiglio di Amministrazione di una marginalissima società di provincia, veneta di fatto, ma con nome e cognome totalmente sardi, la “Eolo Tempio Pausania”. Il resto è cronaca senza aggettivi. Con incastri e contatti da far tremare le vene dei polsi.

«I pali della luce»

Rapporti rievocati nelle cronache giudiziarie e giornalistiche immediatamente dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, che dell’eolico era integerrimo sostenitore-profittatore, come raccontava tra le mura del carcere duro lo stesso Totò Riina. Era stato esplicito il Capo dei capi: «Questo signor Messina si è fissato con i pali della luce. Sempre queste minchie di pali». Il riferimento era al business dell’eolico che l’ex padrino, finito in carcere nelle scorse settimane, perseguiva come un mantra attraverso uomini fidati e sotto copertura, per quanto possibile. Per molti pentiti, come emerge da diversi filoni processuali, a finanziare la trentennale latitanza di Matteo Messina Denaro sarebbe stato Vito Nicastri, un ex elettricista di Alcamo, di cui ci siamo ripetutamente occupati negli intrecci eolici in Sardegna. Non proprio un signor nessuno, tanto che l’antimafia arrivò a sequestrargli 1,3 miliardi di euro, considerati da molti la cassaforte del capomafia.

Il “re” dell’eolico

Attraverso le relazioni societarie del «re dell’eolico», Vito Nicastri, gli affari che il boss di Cosa Nostra coltivava nel settore dell’eolico sarebbero arrivati fino a Verona. A farli riemergere, con pizzini e intercettazioni, erano state la Dda di Palermo e la Dia di Padova. A recidere di netto quel contatto con il Veneto e gli ambienti collaterali e diretti, nel 2011, fu l’allora prefetto scaligero Perla Stancari. Quattro fulminanti interdittive antimafia ritornate in auge nei giorni scorsi poco dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro. Ad essere colpite dalle azioni prefettizie furono quattro società destinatarie di finanziamenti pubblici per 90 milioni di euro.

Sentenze senza appello

Provvedimenti in seguito blindati da due sentenze di conferma, la prima del Tar e l’ultima, nel 2015, dal Consiglio di Stato. È in base a quelle sentenze che riaffiorano i legami con la Sardegna, le operazioni eoliche di ieri e di oggi. Quello che emerge dal passato è un intricato sistema che avrebbe consentito di controllare un’azienda, che aveva sede allo stesso indirizzo delle altre società coinvolte, in piazza Cittadella a Verona. È qui che i Giudici avallano il provvedimento prefettizio sostenendo senza mezzi termini che è «ritenuto concreto e attuale il rischio di possibili infiltrazioni mafiose all’interno della Eolo Tempio Pausania srl per la ritenuta comunanza di interessi tra questa e Vito Nicastri, contiguo ad ambienti mafiosi».

Eolo, tra Tempio e Verona

La «Eolo Tempio Pausania», nel 2011 cambiò nome. A cederla, però, era stata la “Veronagest”. A quest’ultima facevano riferimento le «controllate» coinvolte nelle interdittive del prefetto di Verona. Gli uomini della Dia avevano accertato che in precedenza «il socio unico della Eolo Tempio Pausania di Verona risultava essere un’impresa con sede all’estero» e con partecipazioni in paesi off shore. Secondo i magistrati si trattò di «un complesso intreccio di vicende societarie, facenti capo a Veronagest e riconducibili in ultima analisi alla stessa figura del Nicastri». Nel 2015, il Consiglio di Stato ha confermato la validità dell’informativa adottata dal prefetto di Verona: la «Eolo Tempio Pausania, al pari di altre società e, tra queste, della controllante Eolica Maridiana, fosse stata una pedina di un più vasto meccanismo sapientemente gestito dal Nicastri e finalizzato a controllare il settore dell’energia eolica in Sicilia, in cui emergevano anche una parte politica e una mafiosa: la prima si occupava di fornire le autorizzazioni amministrative per la realizzazione di un parco eolico dietro promessa di tangenti da parte delle imprese interessate, e la seconda di autorizzare tali installazioni nel proprio territorio di controllo, dietro pagamento di tangenti, in modo da poter così usufruire delle sovvenzioni statali ed europee per la produzione di energia pulita».

Conferme giudiziarie

I togati esplicitano: «il collegamento di Eolo Tempio Pausania con la galassia di enti riconducibili al Nicastri, almeno fino all’8 marzo 2011 appare indubbio» con un sicuro meccanismo «che aveva in Vito Nicastri il suo regista, risultato essere alla guida di una vera e propria holding di 34 società, tutte riconducibili a lui in maniera diretta e inequivocabile».

Nuraxi & aerei

Ultima annotazione, rispetto alle vicende dei giorni nostri: la Gr Value, proprietaria al 100% del castello societario che sta scalando il Campidano, dalla Reggia alla Marmilla, è a sua volta al 100% di proprietà della “Grv Investimenti”, che, secondo i documenti in nostro possesso, è di proprietà, al 100%, di Franco Bogoni, il titolare della stessa Veronagest e di quella che fu la «Eolo Tempio Pausania srl». Secondo gli atti della Procura antimafia di Palermo fu lui a pagare nell’aprile del 2007 un volo di un jet privato per Tunisi con a bordo una compagnia “pesante”: Gioacchino Lo Presti di Alcamo (indagato tra le altre cose per aver favorito la latitanza di Alessandro Gambino), dello stesso Vito Nicastri e Filippo Inzerillo. A bordo anche il veronese, Franco Bogoni, imprenditore dell’eolico, il padrone di fatto dei progetti presentati davanti alla Reggia di Barumini.

Atti processuali

Agli atti del processo, ancora in corso su vicende del recenti e del passato, risulta che quel volo per Tunisi sia costato 25.000 euro, con l’aereo di una compagnia con sede nell’aeroporto “Catullo” di Villafranca di Verona, con una fattura a carico proprio di una società di Bogoni, la Veronagest S.A., sede nel paradiso fiscale del Lussemburgo. Lui, Franco Bogoni, non risulta indagato nella vicenda. Ora, infatti, si occupa di piazzare pale eoliche a Barumini, davanti a Su Nuraxi. L’ombra eolica in terra sarda.

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