«Ma non esiste proprio: qui nessun estraneo può fare qualcosa senza il permesso della camorra, figuriamoci un sequestro. I sardi non erano cani sciolti; non potevano non essere d'accordo con qualche potente locale...».

Il giorno dopo l'arresto dei carcerieri, Antonio Buglione risponde al telefono (ancora super intercettato) dalla sua casa al confine tra Nola e Saviano, provincia di Napoli. L'imprenditore re della vigilanza privata campana, in passato processato (e assolto anche in appello) per associazione di stampo camorristico, dice di aver «tirato un sospiro di sollievo» dopo il fermo dei tre nuoresi beccati mercoledì scorso dai carabinieri di Napoli mentre, alla stazione Anagnina di Roma, stavano telefonando alla vittima per farsi consegnare 300 mila euro.

LE MINACCE Pasquale Scanu, 34 anni, bittese residente a Siniscola; Domenico Porcu, 41 anni, di Silanus e Giuseppe Boccoli, 29 anni, di Siniscola da tempo residente a Rimini, su ordine della Direzione investigativa antimafia di Napoli sono finiti in carcere con l'accusa di sequestro di persona. Rapito il 12 settembre scorso, dopo 40 ore Buglione riuscì a fuggire e a chiamare i carabinieri. Ma da un mese e mezzo, al telefono della sua casa e dei suoi parenti, arrivavano le richieste di denaro, praticamente il pagamento del riscatto non versato: Rispetta i patti, dacci quei milioni altrimenti lo sai di cosa siamo capaci .

CHE STRANO ACCENTO «Le telefonate sono cominciate due settimane dopo il rapimento», racconta l'imprenditore. I tre, ritenuti componenti di una banda di sette elementi, sarebbero stati intercettati e addirittura filmati mentre al telefono battevano cassa. «Durante i due giorni di prigionia, sentivo i miei carcerieri che parlavano con uno strano accento, molto duro. Mi hanno chiesto loro, i soldi. Prima 20 milioni, poi sono scesi a 5 e infine a 2». I guardiani erano i tre nuoresi, sottolinea l'imprenditore campano. «Ma c'erano loro anche nel gruppo che mi ha rapito la sera di domenica 12 settembre. Mi hanno portato in una serra delle campagne di Marigliano, legato a un palo di cemento con una catena al collo. Mi sono liberato quando non ho sentito più la loro voce: siccome parlavano sempre, senza preoccuparsi di me, ho compreso che non c'erano più. Forse avevano capito di essere braccati... La catena che mi teneva legato al palo era lunga ottanta centimetri: sono riuscito ad afferrare una barra di ferro e a far saltare l'anello più debole. Ho raggiunto una casa e ho chiamato i carabinieri».

DACCI I SOLDI Quei due milioni erano stati contrattati sicché, quindici giorni dopo, il telefono fisso e i portatili di casa Buglione cominciarono a squillare con la richiesta di saldo e le minacce. Tutto intercettato e persino filmato, assicurano gli inquirenti. «Io per ora aspetto in silenzio. Certo, questi primi arresti mi danno sollievo ma la banda non è tutta qui. C'erano altre persone. I sardi - avverte l'imprenditore - non hanno fatto da soli: qui, in una zona ad altissima densità camorristica, è assolutamente impossibile. Erano della banda, sono stati usati da qualche potente locale».

PIERA SERUSI
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