Un operaio addetto alle manutenzioni finito in ospedale a seguito di un cedimento di mezzo meccanico, un altro lavoratore ferito ad una gamba da una piattaforma in cemento.

Nelle aziende dell'indotto della zona industriale di Porto Torres, in poco meno di un mese dall'inizio dell'anno, si sono registrati già tre infortuni. Il terzo caso risale al 19 gennaio scorso, un fenomeno in crescita aggravato dalle condizioni contrattuali dei lavoratori.

Per i sindacati prevenzione e formazione non sono più una strategia, specie in questi anni di pandemia. Vengono investite sempre meno risorse per la sicurezza nei processi produttivi, con conseguente riduzione degli ispettori e dei controlli degli interventi. Nei giorni seguenti lo stato di agitazione del 21 febbraio, proclamato dai confederali Cgil, Cisl e Uil insieme alle categorie di tutti i lavoratori dello stabilimento Eni, i sindacati hanno portato avanti una serie di iniziative e promosso assemblee per ribellarsi e denunciare l’insostenibile condizione, che fa registrare giornalmente infortuni e morti nei luoghi di lavoro.

“Lo stabilimento di Porto Torres è un luogo complesso, nel quale la sicurezza dipende dalle relazioni e interazioni tra lavoratori e lavorazioni che, - sottolineano i sindacati, Cgil, Cisl e Uil - spesso si realizzano contestualmente. La frammentazione degli appalti produce frammentazione nelle responsabilità, innumerevoli passaggi di consegne, nelle quali si insidiano rischi che producono pericolo e potenziali infortuni”.  E se il punto fondamentale, per lavorare in sicurezza, per i sindacati “è avere un lavoro sicuro, stabile e di qualità”, la difficile condizione negli appalti nello stabilimento Eni “costituisce terreno fertile, in cui gli infortuni si sviluppano e talvolta vengono nascosti”.

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