Sedici pagine scritte di pugno in cui Antonio Urgias racconta, per filo e per segno, le vicende che venerdì lo hanno spinto a togliersi la vita con un colpo di pistola alla testa, dopo aver gambizzato due superiori.

«Quando leggerai queste mie parole io forse non sarò più qui», l’incipit tragico di un documento nelle mani del suo legale di fiducia, Elias Vacca. L’avvocato, in questa fase, preferisce mantenere il massimo riserbo sul contenuto. Già oggi consegnerà il plico all’autorità giudiziaria, perché è chiaro che diventerà una potenziale notizia di reato.

Il dossier

Nel dossier ci sarebbero fatti, date, nomi e cognomi, sullo sfondo di quella che potrebbe apparire una vicenda di mobbing. E all’avvocato Vacca, di cui Urgias aveva piena fiducia, viene così affidato il compito di provare a raddrizzare i torti subiti. Chi lo ha frequentato riferisce che l’uomo non riusciva più a sopportare le ingiustizie e non sapeva gestire la rabbia. In altre parole: si sentiva perseguitato. «Era giorni che non rispondeva più ai messaggi», raccontano. Il 30 dicembre scorso Antonio Urgias, 43 anni, ha perso la ragione: ha imbracciato una pistola e ha sparato a entrambe le gambe al direttore dell’ecocentro di Ungias-Galantè, Ivan Cherchi, 43 anni e alla coscia destra il suo vice Sergio Florulli, di 57 anni. I due si trovano ancora ricoverati all’ospedale Marino, dopo essere stati sottoposti a un intervento per la rimozione dei proiettili.

Nella borgata

A Sa Segada, borgata dove Antonio Urgias risiedeva, in uno stabile accanto alla vecchia scuola, lo descrivono come persona educata e gentile. «Un pezzo di pane», conferma Antonio Zidda, presidente del comitato di borgata, profondamente dispiaciuto per il triste epilogo. Anche al centro sport Kombat, dove Urgias si allenava spesso, lo ricordano come un atleta «serio e rispettoso». Il corpo verrà restituito ai familiari domani, per consentire i funerali fissati per le 15.30, nella chiesa di San Giuseppe.

Caterina Fiori

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