C’è chi la vita sui blindati la conosce molto bene come Franco (nome di fantasia), quarantenne con oltre 16 anni di esperienza nel settore come guardia giurata particolare. Poi ha cambiato vita. Dopo la rapina ai portavalori di ieri a Siligo, dietro la promessa dell’anonimato, riannodata nella sua mente i ricordi di anni e anni in trincea, in quella che è una guerra continua fra il bene e il male.

«Sono rimasto coinvolto in ben tre colpi»,  dice, «ogni volta che ci penso mi vengono i brividi. Benché io e i miei colleghi fossimo addestrati l’appuntamento con la morte e il terrore è stato ravvicinato. Amavo il mio lavoro, lo vedevo come una missione quotidiana, ma dopo anni di lotta, sottopagati ed esposti a rischi assurdi, ho deciso di licenziarmi, appena ho  trovato un nuovo lavoro».

Precisa: «L’ho fatto per la mia famiglia e per non lasciare i miei figli orfani. Ogni volta uscivo di casa senza sapere a che ora sarei tornato e se, soprattutto, ci avrei rimesso piede. Ho raggiunto soddisfazioni professionali importanti con un quarto livello e diversi encomi, ma nonostante ciò la paga raggirava intorno ai 1400 euro netti, più gli assegni familiari».

Notevoli le criticità: «Ho prestato servizio per due importanti aziende sarde. Chi dice che  non combiniamo nulla e fa il fenomeno con commenti ridicoli sui social, dovrebbe trascorrere una giornata con i miei colleghi. Che sono tutt’oggi la mia seconda famiglia. Lavoravo 270 ore mensili, senza conoscere soste».

E sul fatto della sicurezza non manca la polemica: «A Siligo più di una cosa non ha funzionato e lo si desume dalla dinamica del colpo, dalle foto e dai video presenti in rete. Il sistema di spumablock si sarebbe dovuto attivare in meno di un minuto, grazie a degli appositi sensori o diversamente in modo manuale». E poi: «È certamente subentrato il caos con l’urto che con lo sbalzo ha bloccato il tutto. Viene poi lecito domandarsi se le revisioni dello spumablock siano state fatte periodicamente e correttamente».

Franco, rimane chiaro e tassativo anche sull’eterna “questione basisti”: «Una sonora cavolata. Semplicemente i criminali sono sempre un passo avanti, conoscevano tutto su me e i miei colleghi. Eravamo pedinati e studiati ogni giorno. In quanti i nostri percorsi usuali».

Da qui la precisazione: «Le forze dell’ordine conoscevano i nostri percorsi e pur cercando di tutelarci, studiando un piano antirapina, il più delle volte affrontavano problematiche con un organico ridotto. E così non avevamo altra scelta se non farci la scorta da soli. Ma non potrò mai dimenticare di come, ogni qualvolta ne abbiamo avuto la possibilità, si siano fatti in quattro per noi, rischiando la loro vita».

Da brivido le trasferte in ogni angolo dell’isola: «Facevo l’autista – conclude – viaggiavamo spesso in tre e dovevo sempre cambiare percorso o allungarlo per prevenire i colpi. Sapevamo di rientrare più tardi dalle nostre famiglie, ma non ci rinunciavamo mai pur sapendo di trascorrere con loro poche ore, prima di ripartire». 

E infine: «Oggi le aziende di vigilanza basano tutto sugli appalti e sui guadagni. Si punta a razionalizzare i costi. Diversi colleghi viaggiano in due a bordo anziché in trio come avveniva prima. Benché i sindacati salgano sulle barricate, nulla è stato fatto. Continuando di questo passo il rischio morti è dietro l’angolo. Devono fare qualcosa, su quei mezzi viaggiano onesti padri di famiglia».

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