È stato ascoltato in Corte d’assise a Sassari Cristian Loi, uno degli imputati, con l’accusa di procurata evasione, nel processo relativo alla vicenda di “Johnny lo Zingaro”, ritrovato nel settembre 2020 in località Zinziodda, nell’hinterland turritano, dopo 14 giorni di latitanza. Giuseppe Mastini, questo il vero nome dell’ergastolano, vi si era rifugiato dopo non essere ritornato a Bancali, dov’era detenuto, al termine di un permesso premio.

Un luogo che Loi, ascoltato oggi in udienza, frequentava perché, così ha dichiarato, vi teneva parcheggiati «un camioncino e un escavatore», strumenti di lavoro, grazie al permesso della proprietaria.

Non era il solo, ha riferito, perché quel piazzale era “un porto di mare” dove passavano in tanti.

Si trovava pure, in quella zona, un casale in cui Mastini aveva trovato rifugio e in cui sarebbe stato accompagnato dalla sua compagna, Giovanna Truzzi, anche lei imputata insieme a Lorenzo Panei, assistito dal legale Paolo Spano, e Gabriele Grabesu, il cui avvocato è Marco Palmieri.

«Io - ha dichiarato Loi alla giudice Elena Meloni – non avevo mai sentito parlare prima di quei giorni di Johnny lo Zingaro e nemmeno mai nessuno mi aveva chiesto di aiutarlo».

L’uomo, difeso da Stefano Porcu, ha detto di essersi avvicinato a quella casupola solo per dare da mangiare a un cane, «come tanti altri».

Davanti alle domande della pm Enrica Angioni ha poi negato di sapere qualcosa sulla presunta ricerca di una casa con giardino da parte di Grabesu.

La Truzzi, presente in collegamento da remoto, non ha voluto fornire alcuna dichiarazione. In merito al processo la posizione di Mastini è stata stralciata perché, a suo tempo, aveva chiesto un patteggiamento respinto dal gip che ha provocato un suo "sganciamento" dagli altri imputati. 

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