Mai adagio fu più consono: "Chentu concas, chentu berrittas". Cento teste e cento berretti per un disastro scandito da una babele di progetti, centinaia di milioni di euro intonsi, senza un euro speso, e con infiniti tempi biblici di progettazione e realizzazione. Altro che urgenza-emergenza, il rischio idrogeologico in Sardegna è ormai una fabbrica ciclopica di scartoffie, di procedure capaci di avvitarsi l’una con l’altra, con centri decisionali e di spesa che si contendono ritardi e caos.

Pompa magna

Gli annunci in pompa magna per nuovi stanziamenti milionari si susseguono da anni, con il “brand” del disastro che fa notizia a prescindere, da Olbia a Bitti, passando per Capoterra e Assemini. Eppure addentrarsi dentro il “sistema” del rischio idrogeologico della Sardegna, della programmazione e del governo del territorio, significa avventurarsi in un vero e proprio labirinto, dove non si scorge una via d’uscita. Le banche dati, se così le si vuole definire, sono un coacervo di procedure, di stanziamenti e di tempi che si intrecciano in malo modo tra i soggetti più disparati, dal Commissario straordinario per la realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, nella fattispecie il Presidente della Regione, sino alle stazioni appaltanti disseminate in ogni angolo dell’Isola.

Caos sovrano

Per scoprire che il caos regna sovrano non serve un innato senso critico, basta leggere l’ultimo report interno all’amministrazione regionale, quello messo nero su bianco dal nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del Centro regionale di Programmazione, una sorta di Nasa regionale in tema di spesa pubblica. Un dossier lucido e dissacrante, che va al dunque della gestione dei fondi destinati a prevenire e mitigare il grande rischio alluvioni che ha devastato la Sardegna da nord a sud. Un esame senza fronzoli che costituisce la più evidente prova del “disastro” burocratico gestionale del rischio idrogeologico.

Monitoraggio al buio

I dirigenti del centro di Programmazione usano il tatto dei funzionari pubblici e la mannaia di chi deve dire la verità: «Ancora oggi, a livello regionale non si dispone di un quadro informativo unitario e sistematicamente aggiornato delle opere programmate e delle risorse impegnate e spese nel campo della difesa del suolo». Se lo dice il cuore pulsante della programmazione regionale, ancor oggi senza una guida, c’è da crederci.

Il caso sardo

Sul Sistema di Monitoraggio e Controllo interno alla Regione sarda, lo SMEC, i dirigenti incaricati di esaminare procedure e spesa sui progetti relativi alla prevenzione del rischio idrogeologico scrivono: «Rispetto ad altre banche dati che incrociano dati già inseriti in altri sistemi, lo SMEC, il sistema di Monitoraggio della Regione, rappresenterebbe per gli enti attuatori un adempimento non solo gravoso in termini di tempo, ma anche di complicata esecuzione perché la configurazione del sistema è “bloccante”, ma nel contempo non è in grado di rappresentare tutti gli aspetti di complessità del lungo iter di programmazione, progettazione e attuazione degli interventi».

Pesta l’acqua

«Un sistema eccessivamente “articolato e farraginoso”, come è stato definito lo SMEC, (è stato detto “sembra si sia perso il fine di quello che si fa”) alla fine risulta disincentivante» – è scritto nel documento. Come dire “si pesta sull’acqua”, senza un fine e senza un perché. Il risultato è nei numeri della spesa pubblica per le opere del rischio idrogeologico, non piste ciclabili, ma interventi strategici in grado di salvare vite umane ed evitare nuovi disastri.

Canali “tombati”

Basta leggere i dati del report sui canali tombati sparsi in lungo e in largo per la Sardegna per comprendere quello che sta accadendo: «Guardando allo stato di avanzamento dei progetti finanziati per i canali tombati – c’è scritto nel dossier regionale - emerge una forte criticità sui dati di spesa. Al 31 gennaio del 2021, (ultima verifica disponibile n.d.r) infatti, stando alle informazioni caricate sul sistema di monitoraggio regionale, dei 23 progetti programmati circa un terzo (8 progetti) registrava impegni superiori al 70% del costo ammesso, mentre per tutti gli altri gli impegni non raggiungevano il 20% (12 progetti) o addirittura non era stato impegnato nulla (3 progetti)».

Il primato del ritardo

C’è di peggio. Sulle tempistiche di tutti gli interventi in materia idrogeologica, secondo il nucleo di valutazione interna di viale Trento, «la regione Sardegna, su un’analisi condotta su 77 lotti, che risultano “ultimati” al 31 dicembre 2019, evidenzia una durata totale media di 5,9 anni, contro il valore medio nazionale di 4,8».

Bitti & Olbia, zero

Un primato davvero poco invidiabile se si considera che gran parte dei progetti più rilevanti, quelli che riguardano i territori maggiormente colpiti dalle alluvioni più catastrofiche, in ordine di tempo, Olbia e Bitti, sono fermi, ovvero cantieri mai iniziati. Per Olbia, dopo l’alluvione del 18 novembre del 2013, sono stati stanziati 125 milioni, il monitoraggio romano segna encefalogramma di spesa piatto. La governance regionale, tra scontri e polemiche, non è riuscita a spendere nemmeno un euro. A Bitti, duplice tragedia, 2013 e 2020, si contano ben 70 milioni di euro di stanziamenti, anche in questo caso zero spesa. Con il paese sempre in bilico, tra proclami e cantieri strategici mai iniziati. Si progetta ovunque, con andamento lento, con tempi biblici sperando nella clemenza del tempo, quello meteorologico.

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