Non sa perché hanno fatto il suo nome, ma assicura ancora oggi - dopo decenni di risposte identiche - di essere «innocente». Spera nel processo di revisione in corso a Roma ma non riesce a pensare a una vita da uomo libero: «Vivo giorno per giorno». Mai una segnalazione negativa in carcere, spera in primo luogo nella libertà condizionale (dal 2019 il Tribunale di Sorveglianza di Cagliari sta valutando la richiesta presentata dall’avvocato Mauro Trogu) e poi, in futuro, nel riconoscimento della sua estraneità alle accuse che l’hanno portato dietro le sbarre.

Di tutto questo Beniamino Zuncheddu, 57 anni, in carcere da 31, ha parlato ieri nel corso di un colloquio con i responsabili del sito “Errori giudiziari” (i giornalisti Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone) in compagnia del suo legale. Il detenuto spera che «venga a galla la verità», cioè «che sono innocente». Il pastore di Burcei è stato arrestato nel febbraio 1991: la Polizia aveva bussato alla porta della sua abitazione a Burcei («guardavo la televisione») e gli aveva chiesto di seguirlo per «accertamenti». Dopo una notte in Questura a Cagliari era stato trasferito a Buoncammino. Secondo la Procura aveva ucciso tre persone la sera dell’8 gennaio precedente nell’ovile sotto le antenne di Serpeddì. L’assassino aveva esploso una fucilata contro il proprietario Gesuino Fadda, 57 anni, di Sinnai, quindi aveva ammazzato il figlio Giuseppe, che ne aveva 25, e infine fatto fuori il pastore Ignazio Pusceddu. Delitti commessi al culmine di una fortissima tensione tra allevatori legata agli sconfinamenti del bestiame. Da una parte chi stava a Cuile is Coccus, i Fadda; dall’altra chi gestiva Masone Scusa, i burceresi tra cui Zuncheddu. Il killer pensava di aver eliminato anche Luigi Pinna, genero di Fadda, ma il ragazzo era sopravvissuto e dopo un mese aveva indicato agli inquirenti proprio il pastore di Burcei quale responsabile. Riconoscimento alla base dell’ergastolo. Oggi è in corso il processo di revisione, che vede al centro alcune dichiarazioni del sopravvissuto: intercettato, due anni fa parlava con la moglie dell’intervento di un poliziotto nell’inchiesta sulla strage e della sua decisione di mostrargli la foto di Zuncheddu quale possibile responsabile prima dell’interrogatorio col pm. Episodio che, secondo l’avvocato Trogu e l’ex procuratrice generale Francesca Nanni, cofirmatari della richiesta di revisione, rendeva falsa la testimonianza. E anche la prova regina.

Ieri l’ergastolano ha detto che spera la giustizia «faccia il suo corso. Sono innocente, sarei dovuto uscire dalla prigione da quando abbiamo finito il processo di primo grado». Sui rapporti coi Fadda ha detto di «non aver mai litigato con qualcuno» né di aver «mai fatto male a nessuno».

All’ora del delitto, circa le 18,30, «ero a casa di un ragazzo disabile. Non so perché ha fatto il mio nome. Forse l’hanno imbeccato. Penso lui sappia qual è la verità e dovrebbe dirla. Perché proprio io? Me lo sono chiesto tante volte ma non ho trovato risposte. Rancore? No, è la giustizia ad aver sbagliato». Andare avanti è «difficile. Penso all’oggi, domani si vedrà. E poi lavoro. Si pensa meno, farlo è molto pesante. Non ho mai parlato con la famiglia delle vittime. Ho chiesto un confronto col sopravvissuto ma non mi ha risposto. Se mi dovessero assolvere non so cosa farei. Per il momento non ho progetti. Prima voglio uscire, sogno la libertà. Tornare in montagna? Per me va bene tutto. Dimenticare? La ferita è troppo grande. Forse sparirà. Ma non gli anni trascorsi».

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