Il telefonino di Francesca Deidda, uccisa a martellate dal marito Igor Sollai il 10 maggio dello scorso anno, non è stato buttato in mare, così come non è stata lanciata dal ponte della Scafa, a Cagliari, la mazzetta da un chilo usata per colpire alla testa la donna, mentre riposava sul divano della loro casa a San Sperate. Ne sono convinti gli investigatori, non solo perché i sommozzatori hanno setacciato il fondale di Santa Gilla senza trovare nulla, ma anche perché il cellulare della 42enne si è improvvisamente riacceso, per 7 ore e mezza, nel mese di settembre, quando l’autotrasportatore era già in carcere da due mesi e continuava a ripetere che la moglie se ne fosse andata di casa spontaneamente.

L’ultimo accesso

L’apparecchio telefonico si era spento l’ultima volta il 31 maggio, proprio quando Igor Sollai aveva saputo che il fratello di Francesca aveva presentato la denuncia di scomparsa ai carabinieri. La donna era svanita nel nulla il 10 maggio, si era licenziata improvvisamente con la procedura telematica e nessuno l’aveva più sentita: ogni tanto qualcuno, amiche e famiglia, riceveva dei messaggi dal suo telefonino nel quale ripeteva di essersene andata lasciando tutto e tutti. Dalla fine di maggio, poi, il telefonino non era più stato riacceso, sino alle 3.40 del 5 settembre scorso, quando però Igor Sollai era già in carcere a Uta (è stato arrestato il 4 luglio). Per 7 ore e mezza circa, sino alle 11.11 del mattino, l’apparecchio è rimasto acceso e si è collegato con un ripetitore in piazza Santa Lucia ad Assemini che copre sia una parte del centro abitato sia della campagna, in prossimità di un cavalcavia ferroviario. Poi si è nuovamente spento e, da quel momento, più nulla.

Le ricerche

Nonostante le ricerche dei carabinieri il cellulare non è stato trovato. I militari del Ros e quelli della Compagnia di Iglesias hanno escluso che l’apparecchio cellulare fosse nelle mani di qualche parente dell’indagato o dell’amante: erano tutti intercettati ed è stato verificato che si trovavano distanti dal ripetitore di piazza Santa Lucia. Ma quella misteriosa riaccensione ha di fatto smentito una parte della confessione di Sollai, arrivata a novembre dopo sei mesi nei quali si professava del tutto estraneo alle accuse, nonostante una montagna di indizi e prove che gli investigatori avevano raccolto tanto da riuscire – seguendo il gps del suo furgone di lavoro – a recuperare anche il corpo della 42enne, chiuso un un borsone e gettati nei boschi tra Sinnai e San Vito, lungo l’ex Orientale (la statale 125).

Il mistero

Francesca Deidda era stata uccisa la notte della scomparsa, ma i suoi resti sono stati recuperati solo il 18 luglio. Dopo sei mesi di carcerazione cautelare, quando anche la Cassazione aveva confermato i gravi indizi, Igor Sollai aveva deciso di confessare, raccontando di aver gettato a Santa Gilla sia l’arma del delitto sia il cellulare della moglie, lanciandoli dal finestrino del suo furgone. I sommozzatori dell’Arma mandati a setacciare i fondali di Santa Gilla non hanno trovato nulla e, visto il peso dei due oggetti (la mazzetta da muratore usata per uccidere era da quasi un chilo), pare impossibile che la corrente se li sia portati via. E poi quella misteriosa riaccensione per 7 ore e mezza del telefonino, con l’aggancio alla cella di Assemini: un fatto che non sarebbe mai potuto verificarsi se l’apparecchio si fosse trovato sott’acqua. Ma perché mentire dopo aver confessato e confermato pressoché tutto quello che la Procura aveva già scoperto?

L’ipotesi investigativa

L’ipotesi degli investigatori è che l’autotrasportatore si sia disfatto del telefonino della moglie gettandolo sì da un ponte, ma non da quello della Scafa: bensì del cavalcavia ferroviario di via Olimpia ad Assemini, circondato dalla vegetazione su ambedue i lati. Qualcuno a quel punto potrebbe averlo trovato di notte e l’avrebbe acceso per capire se funzionasse, per poi rispegnersi a causa dell’esaurimento della batteria. Stando agli accertamenti tecnici effettuati dalla Procura è probabile che ci fosse ancora della carica sufficiente (anche dopo tre mesi di inattività) per una riaccensione. Non solo. È poi emerso che il cellulare di Francesca non aveva un codice pin, dunque chiunque potrebbe averlo trovato e riacceso. Tutte le eventuali segnalazioni agli investigatori, in tal senso, saranno naturalmente prese in considerazione.

Francesco Pinna

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