Hanno lavorato per mesi, scritto pagine e pagine di atti, presenziato a decine di processi. Ma in cambio non avranno un euro.

Protagonisti della vicenda sono i tirocinanti degli uffici giudiziari: giovani eccellenze nel campo della giurisprudenza che per lo Stato costituiscono una "risorsa", ma a poco prezzo.

Una situazione paradossale partita dalle decisioni del ministero della Giustizia, e che rischiava di non destare particolare attenzione. Se non fosse stato per i ragazzi del tribunale di Cagliari, che hanno alzato la voce e aggregato in una protesta i colleghi di tutta Italia.

IL TIROCINIO – Il tirocinio in tribunale è una delle strade possibili per l’accesso al concorso in magistratura, oltre alla frequenza delle scuole di specializzazione e al superamento dell’esame di abilitazione di avvocato.

Si tratta in sostanza di affiancare un giudice per 18 mesi, aiutandolo con la stesura dei provvedimenti e assistendolo durante le udienze. "Il monte minimo delle ore settimanali è 20 - racconta Francesco Rusui, 27 anni, laureato con 110 e lode all'Università di Cagliari e tirocinante alla Corte d'Appello del capoluogo -. Ma è il singolo giudice a decidere. Qui, in linea di massima, non facciamo meno di sei ore di lavoro, dal lunedì al venerdì. Spesso, per rispettare le scadenze ci tratteniamo anche oltre".

Un lavoro a tutti gli effetti, dunque.

Francesco Rusui
Francesco Rusui
Francesco Rusui

IL DECRETO - L’attività è stata regolamentata dal governo con Decreto Legge 69/2013 (il cosiddetto "Decreto del fare"). Destinatari: giovani under 30 con un voto di laurea in Giurisprudenza non inferiore al 105/110. Obiettivo: sulla carta “migliorare l’efficienza del sistema giudiziario”. In pratica alleggerire la mole di lavoro dei giudici.

E i ragazzi, a questa funzione, si sono prestati volentieri, motivati dall’intenzione di imparare sul campo e di seguire il proprio sogno.

"Anche togliendo tempo allo studio - spiega Lucia Meleddu, 29 anni, anche lei tirocinante alla Corte d'Appello di Cagliari -. Spesso mi capitava di passare mattinate intere col giudice, e poi di scappare a fare la pratica dall'avvocato". Anche lì, va da sé, gratis.

Lucia Meleddu
Lucia Meleddu
Lucia Meleddu

IL COMPENSO – Nel 2015 si decide l’erogazione di fondi per i tirocini: una borsa di studio (non un rimborso spese né tantomeno uno stipendio) di non più di 400 euro mensili, distribuiti sulla base del calcolo Isee (sostanzialmente del reddito).

Dopo tanti sacrifici e tanta voglia di professionalizzarsi, i tirocinanti - non proprio dei ragazzini - si ritrovano a vedere il proprio impegno commisurato al conto in banca di famiglia: "Siamo ancora a carico dei nostri genitori, e continuiamo a risultare 'troppo ricchi' - dice Rusui - Ma il lavoro ha pari diritti e dignità, comunque lo si chiami, e a prescindere dallo stipendio di mamma e papà".

La vera beffa, però, deve ancora arrivare: pochi giorni fa i giovani hanno scoperto che quei soldi, pochi e maledetti, non li riceveranno affatto.

Mentre per il 2015 i fondi stanziati hanno coperto tutte le richieste, nel 2016 queste sono aumentate esponenzialmente ma le risorse sono rimaste le stesse: 8 milioni di euro.

Sono così 1300 i tirocinanti esclusi dalla borsa di studio perché "troppo ricchi di famiglia".

"È stata una brutta sorpresa - racconta Elena Menga, foggiana di 27 anni, laureata all'Università Cattolica e tirocinante del tribunale di Milano, dove la situazione non cambia - Sono soldi che avevo già deciso di reinvestire in un corso di specializzazione o in libri di testo".

Elena Menga
Elena Menga
Elena Menga

LA PROPOSTA - "È assurdo che lo Stato, che impone ai liberi professionisti e alle aziende di retribuire i propri stagisti, anche solo sotto forma di rimborso spese, sia il primo a non rispettare i suoi obblighi", è il coro unanime dei ragazzi.

Quelli della Corte d'Appello di Cagliari hanno fondato un gruppo su Facebook e hanno scritto una lettera al ministro della Giustizia Andrea Orlando. "Le nostre proposte sono tre: un ulteriore stanziamento dei fondi, una redistribuzione delle risorse o - idea che andrebbe contro l'interesse di tutti - l'accesso a numero chiuso". "Perché il lavoro è lavoro, e va pagato".

Angelica D'Errico

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