Era risultato positivo al tampone qualche giorno dopo aver soccorso il primo contagiato da coronavirus in Sardegna, il cagliaritano Carlo Tivinio, poi purtroppo deceduto all'età di 42 anni. L'unico residente di Decimoputzu affetto da Covid-19 è un operatore sanitario volontario, in prima linea nella lotta alla pandemia e al rischio contagio. È guarito, come comunicato dal sindaco Alessandro Scano, il quale, nonostante l'assenza di nuovi casi in paese, invita tutti a non abbassare la guardia.

Vinta la battaglia, il volontario accetta di parlare a condizione di restare anonimo. «Ho soccorso il paziente che si è poi rivelato il primo caso di Covid-19 in Sardegna, quindi ho saputo di essermi esposto a un potenziale contagio in tempo utile per poter tutelare la sicurezza dei miei familiari e dei miei concittadini, autoisolandomi».

Poi sono arrivati i primi sintomi?

«Solo febbre che, fortunatamente, non è salita oltre 38 e mezzo».

Ha pensato subito al virus?

«Sì, ero preparato, dopo il soccorso al paziente positivo al quale ho rilevato parametri vitali e fornito sostegno respiratorio».

Ha dovuto aspettare molto per il tampone?

«Il primo è stato disposto quando la febbre è salita fino a 38 e mezzo, la situazione lo imponeva. Mi è stato fatto quasi subito e anche l'esito è stato quasi immediato. Mentre per il secondo e terzo tampone ci sono stati dei ritardi legati alla criticità della situazione generale, del tutto comprensibili».

Problemi con le autorità sanitarie?

«Durante l'isolamento ero sotto sorveglianza quotidiana da parte del servizio di igiene pubblica, che telefonicamente monitorava il mio stato di salute e quello dei miei familiari. Grazie anche ad una serie di circostanze e cautele, non sono entrato in contatto con nessuno».

Ha avuto paura che il suo stato di salute potesse peggiorare?

«Per me non tanto».

Per la sua famiglia?

«Sì, non sapevo come si sarebbe evoluta la situazione. Naturalmente tutta la famiglia è rimasta in quarantena per tutto il periodo».

Come si vive in isolamento?

«Non diversamente dalle altre persone costrette a stare chiuse in casa. Abbiamo avuto la fortuna di poter contare sull'aiuto dei nostri cari. Grazie alla tecnologia (tv, computer e smartphone) non è stato troppo complicato».

Qual è stato il momento più difficile?

«Quando ho saputo del decesso del paziente da me soccorso. Mi ha fatto prendere coscienza della gravità della situazione e mi ha rattristato profondamente».

Come è stato curato?

«Tachipirina e affetto dalla mia famiglia, ora sto molto bene».

Perché vuole restare anonimo?

«Mi spaventa la caccia alle streghe, tengo a salvaguardare la mia sfera privata. So di essermi comportato in maniera corretta e di non aver messo a rischio la salute dei miei concittadini. Sia io sia la mia famiglia non siamo mai usciti di casa dal giorno della mia esposizione. Non ho paura per la diffidenza nei miei confronti, ma per chi mi è stato vicino».

Ha un consiglio per i cittadini?

«Non prendere con superficialità la situazione, il virus può essere letale. La quarantena ci costringe a stare in casa ma possiamo coglierne gli aspetti positivi: la famiglia, la vicinanza, l'amicizia a distanza e la solidarietà».

Lorenzo Ena

© Riproduzione riservata