Il suo appello ai lettori di UnioneSarda.it non è passato inosservato e qualche proposta è arrivata per Anna Maria, la signora di Dolianova non vedente e in carrozzina che chiedeva aiuto per trovare un appartamento in affitto “non gratis, posso pagare e non cerco carità”, perché quello in cui vive deve essere ristrutturato. Il proprietario le ha consentito di rimanere fino a quando non troverà un’altra sistemazione, ma Anna Maria, 70enne originaria di Samassi, non vuole abusare oltre della sua disponibilità.

In realtà finora non ha nulla di concreto da valutare. “Il sindaco – ha integrato così il suo appello pubblicato con lettera pubblicata qualche giorno fa – mi ha fatto contattare dagli uffici dell’assistenza, parlavano di rinnovo per la legge 162 (Piani Personalizzati a favore di persone con handicap grave, ndr) e altre cose, hanno fissato due appuntamenti ma sono saltati entrambi”.

E lei intanto?

“Io continuo a cercare, ma trovo sistemazioni con una sola camera, me ne servirebbero almeno due, e un ripostiglio, a piano terra. Tanti hanno paura di dare in affitto i loro immobili. Ce ne sono anche in vendita, sia chiaro, ma alla mia età… me le sto inventando tutte, ad esempio se riuscissi a vendere i miei lavori all’uncinetto potrei racimolare qualcosa in più”.

Come riesce a realizzare capi all’uncinetto?

“Col tatto, con i punti che invento. Faccio maglie, capi di abbigliamento. Posso creare un cardigan senza una cucitura e su misura. Ho cominciato da bambina e non ho mai smesso, una passione che coltivo con risultati molto apprezzati”.

Le hanno proposto magari di andare in una struttura?

“Mettere me in un centro? Con tutte le patologie e le allergie che ho? Non esistono posti idonei, sarei solo un disturbo. Il mio problema non è solo che non ci vedo o che sono su una sedia a rotelle, è anche quello che mi si mette nel piatto: sono intollerante a molte spezie, rischierei davvero tanto”.

Parlare di disabilità è ancora un tabù?

“Al contrario, è molto importante. Pochi la conoscono e chi se la trova sulla strada spesso non ha nessuno, né una spalla su cui contare né un appiglio. Una persona normodotata è presa dalla frenesia del lavoro, dalla velocità, dalle novità e dalle innovazioni, non percepisce molte cose. È come quando in una famiglia arriva un bimbo con la sindrome di Down: ci si mette tutta la buona volontà ma si ha bisogno di appoggiarsi per un attimo a qualcuno per liberarsi dallo sconforto. E se non si trova nessuno ci si chiede: faccio bene così? Faccio male? Nessuno risponde. Una cosa voglio dire: non bisogna vergognarsi, non c’è nulla di cui dobbiamo vergognarci”.

Le istituzioni?

“Cosa danno? Un aiuto economico? Un mantenimento? Un accompagnamento? In molti casi se ne può fare anche a meno, quello che serve è ben altro. Il supporto non ha un prezzo. Sa quante persone in questi 24 anni in cui sono cieca mi hanno detto ‘come sei bella’ o ‘scoppi di salute’. Ecco, in quel momento mi sono sentita presa in giro. Oppure ancora ‘quanto coraggio hai’. Ma quale coraggio? Mi sono sempre reputata totalmente incosciente della mia situazione, altrimenti domani non mi sveglierei. E vado avanti, alla faccia di chi non mi considera”.

Lei si definisce “cieca”, non usa “non vedente”.

“Sì, e non perché ritenga che sia un’offesa o uno stato di handicap. Per esempio mi è capitato di dire ‘mi chiamo Anna Maria e sono cieca’, e hanno pensato fossi della Repubblica Ceca! Insomma i fraintendimenti sono dietro l’angolo”.

Quando ha perso la vista?

“Avevo 46 anni, due figli, ed è successo a seguito dell’assunzione di farmaci che mi hanno dato senza tenere conto che fossi allergica all’80 per cento dei Fans, antinfiammatori non steroidei. Ho un problema alla tiroide fin dalla nascita, poi tutto si è aggravato con la seconda gravidanza. Sono corsa in ospedale ma non hanno avuto esatta percezione della situazione. Ora ho gli occhi totalmente chiusi, ho tentato un autotrapianto di mucose che è perfettamente riuscito, poi c’è stato il rigetto”.

Quali sono stati i momenti più difficili?

“Le famiglie, quando hanno un cieco in casa, tendono a proteggerlo e così facendo lo escludono dalla vita di tutti i giorni. Io ho avuto la fortuna di incontrare una persona, una educatrice, che mi ha fatto capire che non dovevo essere servita e riverita, così abbiamo iniziato una nuova impostazione. Quando, dopo sei mesi di ospedale, sono tornata a casa sulla sedia a rotelle, affrontare gli scalini per andare nelle varie stanze era un problema, così ci siamo organizzati con delle pedane. Ma mia figlia mi ha ‘scrollata’ un po’ e passo dopo passo ho ricominciato a muovermi, anche se gli ostacoli sono tanti”.

Ad esempio?

“Se non trovi un appiglio ti senti perso, si sviluppano gli attacchi di panico, ho combattuto anche con questo. Devi ritrovare l’orientamento. Quando mi alzavo erano tutti pronti con ‘cosa ti serve che te lo porto io?’, è umiliante. E c’era tanta paura di lasciarmi sola. Poi, col trascorrere del tempo, hanno cominciato a trattarmi come prima. Oggi faccio tante cose, non sono più in grado di fare le pulizie ma riesco a cucinare e per la spesa chiamo i negozianti sotto casa che me la consegnano”.

È vero che usa molto i social?

“Sono attrezzata, con l’iPhone ho un sistema vocale che mi permette di interagire su Facebook, mi descrive anche le foto; poi ci sono siti per ascoltare gli audiolibri, un’audiocineteca con film in cui una voce racconta le scene mute. Ma tutto questo mica è gratis, non ce lo regala nessuno”.

Cioè?

“Ad esempio per lavorare all’uncinetto ho un attrezzo che mi legge i colori e costa intorno ai 300 euro, lo speak facile oltre mille, un telefonino almeno 700 euro, poi ci sono il lettore per film, tutti gli aggiornamenti, il termometro che parla, almeno 40 euro, eccetera. Il problema è che spesso questi oggetti hanno seri problemi: per dirne uno, le lancette dell’orologio tattile il più delle volte si spostano. Insomma evidentemente sono creati non da chi li deve utilizzare, senza sapere quindi quali sono le reali necessità”.

Cosa manca, in concreto, per una qualità della vita più alta?

“Delle leggi con contenuti idonei. Le norme che riguardano i disabili sono studiate a tavolino per la convenienza di chi le propone. Si dice che dobbiamo essere assistiti, accuditi e resi in grado di vivere una vita regolare, simile a quella dei normodotati. Però: hai bisogno di una carrozzina? Devi aspettare sei mesi. Devi spostarti per una visita? Mandano addirittura un’ambulanza quando sarebbe sufficiente un’auto appositamente allestita che eviti il trauma dello sbandamento e tanti disagi. Sarebbe utile rivedere le norme almeno insieme a un gruppo di persone con varie disabilità che sappiano, perché lo hanno provato sulla loro pelle, quello che è necessario modificare. Io non ci sarò più, spero che almeno i figli di mio nipote possano arrivare a vedere queste innovazioni”.

E per adesso?

“Per ora si va sulla Luna, su Marte per prendere l’acqua come se la nostra non fosse potabile, e intanto noi quaggiù ci impegniamo ad ampliare il buco nell’ozono. Un panorama non molto confortante”.

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