A Punta Molentis tra fumo nero e panico: «Salvata da un gommone privato, ho temuto per la mia vita»
Il racconto dell’incendio nella lettera di Francesca Marongiu, testimone diretta del dramma, inviata alla redazione: «Si poteva evitare? Forse sì»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
C’era anche lei tra le persone coinvolte nel drammatico incendio che domenica ha devastato Punta Molentis, cancellando in poche ore uno dei luoghi più suggestivi di Villasimius.
Francesca Marongiu, testimone diretta di quei momenti di paura e concitazione, ha deciso di condividere la sua esperienza scrivendo alla redazione de L’Unione Sarda. Un modo per dare voce non solo al suo vissuto, ma anche a quello di tante altre persone che, come lei, si sono trovate a fronteggiare le fiamme da vicino.
Chi volesse raccontare la propria testimonianza può contattare il giornale via email all’indirizzo redazioneweb@unionesarda.it o tramite WhatsApp al numero 335 154 6482.
Ecco la sua riflessione:
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Prima di tutto, desidero ringraziare profondamente tutte le persone che domenica, pur non essendo minimamente preparate o equipaggiate, hanno soccorso chi si trovava in difficoltà. Con i propri mezzi e le proprie forze, hanno dimostrato che nei momenti più critici esistono ancora solidarietà, coraggio e spirito di aiuto reciproco – qualità tutt’altro che scontate, oggi.
Tuttavia, sento il bisogno di condividere la mia esperienza perché, al di là della tragedia sfiorata, la gestione dell’emergenza da parte delle autorità è stata, a mio avviso, gravemente inadeguata.
Non ho le competenze tecniche per dire se si sarebbe potuto fare diversamente o meglio, ma posso raccontare cosa ho vissuto: alle 15:42, appena ho percepito l’odore acre del fumo, ho chiamato il 112. Mi è stato detto che l’emergenza era già stata segnalata e che le autorità stavano per intervenire. Poco dopo, ho visto un camion dei vigili del fuoco arrivare nel parcheggio. Ma da lì in poi è stato l’inferno.
Nessuna comunicazione ufficiale, né tramite megafono né di persona. Nessuna indicazione chiara. Solo caos: persone che tentavano di spostare le auto lontano dalle fiamme – inutilmente – e personale dello stabilimento che, come poteva, cercava di guidarci verso una via di fuga.
Sono entrata in acqua, prima vicino alla riva, poi sempre più al largo per cercare aria respirabile. A un certo punto nuotavo tenendo il cellulare e i documenti in una mano, e con l’altra una borsa bagnata che usavo come filtro per il fumo. L’aria era irrespirabile. In quel momento ho temuto davvero per la mia vita.
Arrivata a una boa, ho effettuato una seconda chiamata al 112: erano le 16:29, e ormai gran parte dell’area era distrutta dal fuoco. Ho chiesto aiuto per essere soccorsa, specificando che io sapevo nuotare ma altre persone erano aggrappate a boe o rifugiate sugli scogli. Nessuno è arrivato.
Siamo stati salvati da un gommone privato, che ci ha riportato a riva. Così come è stato un altro gommone privato ad evacuare i primi bagnanti, portandoli sulla spiaggia di Simius. Solo in quel momento - erano circa le 17:15, un’ora e mezza dopo la mia prima chiamata – è comparso il primo Canadair. E presumibilmente la mia segnalazione non era nemmeno la prima.
Oggi, oltre al dispiacere per aver perso la mia auto, rimane il sollievo per una situazione che sarebbe potuta finire molto peggio. Ma resta anche un dubbio amaro: tutto questo era inevitabile? Forse, almeno, era contenibile.
La Sardegna è purtroppo soggetta a incendi estivi. Quella di domenica è stata la tempesta perfetta: caldo estremo, vento forte, un’unica via di accesso bloccata dal fronte delle fiamme. E allora faccio un appello: che le istituzioni e chi di dovere non abbandonino i cittadini danneggiati, e che tragedie del genere non si ripetano più. Perché la prevenzione, l’organizzazione e la prontezza possono fare la differenza tra il panico e la salvezza.