Sul Monte Arci non si sale, si entra. In questo paradiso terrestre, tra il paese di Antonio Gramsci, Ales, quello delle Lorighittas, Morgongiori, e quello dell'ossidiana, Pau, si respira il fascino esclusivo del viaggio dentro la natura primordiale. Da qualsiasi parte si decida di varcare l'uscio di questa foresta inedita e sconosciuta l'orizzonte è verde fitto, quello dai mille cromatismi che solo in Sardegna puoi respirare a pieni polmoni. I tornanti per scalare questi 812 metri di altitudine, all'alba del Campidano più alto, verso Oristano, sono leggeri come si conviene ad una montagna cresciuta a suon di lava ed eruzioni. Le capriole della terra e dei vulcani nelle ere passate hanno segnato la via più antica di quest'opera d'arte incastonata nella piana più grande dell'Isola. In quest'oasi, perlustrabile come fosse una laparoscopia, attraversando le viscere di foreste rarefatte, colme di antiche querce, è facile imbattersi nell'oro nero della terra più antica.

Il cemento riaffiorante (L'Unione Sarda)
Il cemento riaffiorante (L'Unione Sarda)
Il cemento riaffiorante (L'Unione Sarda)

Il vetro nero

La pietra rara, nera e brillante, luminosa e irripetibile, attraversa il cuore inesplorato di questa colata lavica fattasi altitudine. L'ossidiana, il vetro nero del Monte Arci, di tanto in tanto riaffiora sulle pendici come a voler scrutare il paesaggio mozzafiato che si staglia sui tre torrioni basaltici che traguardano l'orizzonte ad alta quota: Sa Trebina Longa (812 m.), Sa Trebina Lada (795.) e Su Corongiu de Sizoa (463 m.).

Indicazioni turistiche (L'Unione Sarda)
Indicazioni turistiche (L'Unione Sarda)
Indicazioni turistiche (L'Unione Sarda)

A dominare le vette sono rimasti solo questi ciclopici monumenti vulcanici. Le pale eoliche, le prime dell'avvento dell'affare del vento in Sardegna, non ci sono più. Quelle eliche sul cielo di Morgongiori, piazzate dove Eolo prometteva di far girare il totalizzatore dei guadagni a piene mani, sono sparite dalle nuvole. Dal 1993 sino a qualche settimana fa hanno imperversato in questa montagna con ruggine e ferraglia, abbandonate per 27 anni, come si conviene a chi non riesce ad estrarre da quel vortice celeste denari a sufficienza, prima in lire e poi in euro.

Sfregio sul verde (L'Unione Sarda)
Sfregio sul verde (L'Unione Sarda)
Sfregio sul verde (L'Unione Sarda)

Pale e maledizioni

Erano rimaste lì, nella corona più alta del Monte Arci, nonostante le maledizioni continue di sindaci di trincea che hanno tentato in tutti i modi, persino con le carte bollate, di costringere l'Erga, il braccio ventoso della potentissima Enel, di smontare quella foresta di ferro e bulloni e ripristinare il paradiso del vetro vulcanico e della foresta verde. Lo scontro è stato titanico, come si conviene ad ogni misfatto quando c'è da ripristinare un disastro a due passi dal cielo. L'Erga, nel frattempo, si è fatta Enel Green Power. Il principio sacrosanto di chi devasta l'ambiente e deve pagare sino in fondo i danni e il ripristino, è rimasto anche qui lettera morta. Risalendo a ritroso, per quelle 34 pale i tre comuni interessati all'occupazione eolica avevano avuto impegni contrattuali a dir poco mortificanti. A Pau furono assegnati cinque milioni di lire all'anno, otto a Morgongiori, dieci ad Ales. Il bilancio occupazionale fu da presa in giro colossale: due persone reclutate negli anni, non locali, e due o tre saltuariamente. In pratica elemosina a buon mercato. Senza pensare a quanto il braccio soffiante dell'Enel aveva speso allora (50 miliardi di lire) per impiantare quella cattedrale di ferraglia e soprattutto quanto voleva e ha guadagnato da quella centrale eolica sperimentale sulla cima del Monte Arci.

"Buco" in vetta (L'Unione Sarda)
"Buco" in vetta (L'Unione Sarda)
"Buco" in vetta (L'Unione Sarda)

Ora, per scrutare quel che resta di quella sciagurata intromissione, occorre rivolgere lo sguardo a terra con l'occhio di un drone che sfida le raffiche gelide che imperversano nei recinti aerei di sparvieri e falchi. La prima immagine che si proietta a terra è devastante. L'ingresso in quello che fu uno dei primi parchi eolici dell'Isola è l'anteprima di questo viaggio aereo e terrestre in quel che resta dopo il passaggio dell'affare eolico. La terra verde e nera, segnata da vegetazione fitta e ossidiana pura, di punto in bianco si squarcia. Una ferita imponente. Un segno indelebile, ripetuto per 34 volte, di quel violento incedere del business del vento. Quel basamento di cemento armato, tanto invasivo quanto profondo dove erano incastonate le pale, aggredito da braccia d'acciaio di escavatori e martelli pneumatici, si è allargato a dismisura. La foresta si è ritratta, la pietra vulcanica si è fatta grigia e bianca, ma non ha millenni arcaici alle spalle. Il cemento armato è divenuto ghiaione, ghiaia e polvere.

Una delle pale eliminate (L'Unione Sarda)
Una delle pale eliminate (L'Unione Sarda)
Una delle pale eliminate (L'Unione Sarda)

Il cemento in vetta

Il bianco di quel disastro, visibile solo da chi sorvola la corona alta del Monte Arci, è il cemento armato degradato che si staglia nei 34 crateri del defunto parco eolico. Quei cerchi grigio cemento sono il segno più evidente di quel che sta succedendo quassù, nelle silenti vette della montagna. Le immagini che vi proponiamo in questo viaggio inchiesta sono la più eloquente prova di quanto rifiuto cementizio, così è annoverato nelle norme sull'inquinamento, sia sparso in quantità rilevanti in ogni dove. Difficile da nascondere, nonostante i cumuli di terra già pronti a latere per tentare di sovrastare quel cemento così invadente e vietato nella terra del vetro nero. L'operazione dell'Enel Green Power per eliminare quelle pale nasce da un accordo per sfinimento con i Comuni interessati, "quattro" punti luce al led e qualche modesta concessione. La società energetica stanzia 620 mila euro, (620.485) per i lavori di dismissione della centrale eolica.

Escavatori in cantiere (L'Unione Sarda)
Escavatori in cantiere (L'Unione Sarda)
Escavatori in cantiere (L'Unione Sarda)

Senza inizio e fine

Il cartello all'ingresso del cantiere lascia in bianco l'inizio e la fine dei lavori. Poco più in basso un foglietto posticcio dell'Azienza Tutela Salute della Regione dichiara una data presunta di inizio lavori, il 7 novembre del 2019. Conclusione prevista entro 180 giorni, ovvero ad aprile di quest'anno. Sulla cima del Monte Arci un escavatore, invece, è ancora lì, ormeggiato a ridosso degli scavi. Le ferite di quel passaggio sono segnate da squarci violenti e d'impatto sulle foreste che si stagliano all'orizzonte. Gli scarti-rifiuto, rimasti impunemente su quel proscenio violato, sono la prova dell'assalto. Un segno indelebile sull'antica via dell'ossidiana nel cuore verde del Monte Arci.

Mauro Pili
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