Le loro lacrime parlano. In quelle gocce di sudore che tagliano i loro volti anneriti dalla polvere del Sinis c’è fatica, fede, coraggio ma anche orgoglio.

Del resto è grazie alla loro forza concentrata tutta sulle gambe che San Salvatore è riuscito ad arrivare al villaggio. Senza intoppi, veloce. Una magia di un’ora.

Questa mattina a Cabras ancora una volta si è rinnovato il rito della Corsa degli Scalzi.

Novecento uomini hanno “calpestato” sette chilometri: prima l’asfalto e poi lo sterrato, con indosso il saio bianco, per trasportare il simulacro di San Salvatore da Cabras al villaggio.

Un rito che per i cabraresi è quasi un dovere. Una liberazione interiore, un modo per state tranquilli e sereni per un anno intero. Così raccontano una volta arrivati a destinazione. Un modo per ricordare quando un gruppo di pescatori e contadini riuscì a portare in salvo la statua dalle incursioni saracene. Sono partiti da Cabras poco dopo le otto: gli Scalzi come sempre si sono affidati a San Salvatore, per sentire meno la fatica. Quando sono arrivati al villaggio è esplosa la gioia. Per loro tanti applausi, baci e abbracci da parte delle mamme, figlie, fidanzate, sorelle, tutte ad aspettarli. Erano presenti anche tantissimi turisti. 

«Oggi più che mai Cabras si identifica con il popolo del passato, salvato dai saraceni per intercessione del Santo  – afferma il sindaco di Cabras Andrea Abis -. La necessaria e meticolosa organizzazione dell’evento non scalfisce in alcun modo la nobiltà e il senso di appartenenza. Il lavoro congiunto dei giorni che precedono la festa assicura la buona riuscita di una tradizione che è prima di tutto religiosa».

Domani, al tramonto, il rito si ripete. Questa volta però da San Salvatore a Cabras, per riportare il simulacro nella chiesa di Santa Maria Assunta dove rimarrà custodito per un altro anno intero. Alle 19 e trenta sarà Cabras ad abbracciare i “suoi” curridoris. E il voto sarà sciolto nuovamente.

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