A Lula si scrive Carnevale si legge Battiledhu, e per non farselo raccontare bisogna proprio andare a vederlo sul posto.

L’appuntamento è per sabato 18 febbraio con l’inizio della vestizione alle 14.30 circa in Piazza Deledda, cuore storico di una comunità cui l’antica maschera carnascialesca appartiene. Meta di fotografi e documentaristi più di qualunque altro carnevale in Sardegna, Su Battiledhu non è un carnevale errante, la sua unica apparizione è nel luogo di appartenenza. La sua uscita è dettata dall’allineamento della terra e del sole durante l’equinozio di primavera: equazioni algebriche di una cultura affidata alla natura che, ancora in questo emisfero è in grado di influenzare la quotidianità così, come la luna piena che sorgerà di li a qualche giorno.

Terra, sole e luna , elementi primordiali di vita rurale, cui la maschera è intimamente legata. Affascinante e misterioso, truculento e spietato non è un carnevale per conformisti. Bestemmie e oscenità urlate dalle “Gatiasuomini travestiti da vedove, scherniscono Su Battileddu, essere insignificante, spesso il matto del paese, ghermiscono e strattonano l’umile fino alla morte, in un rituale pagano in cui la vittima muore e risorge dalla terra fecondata con il sangue.

Teatro della crudeltà cosi caro a Antonin Artaud, da cui la manifestazione Lulese sembra uscire. Il teatro, quale rituale magico, rappresentazione di ciò che è irrappresentabile cosi come il carnevale Dionisiaco racchiude in tutte le sue manifestazioni. Equazioni emozionali attraverso cui il rito del carnevale di Lula si vive lungo le strette vie del centro storico trasformate nel proscenio dentro il quale il sacrificio, si trasforma nell’antitesi della festa. Passione e morte dell’ultimo, in una via crucis blasfema dove l’irriverenza è insieme centralità e paradosso della vita stessa e la resurrezione è preludio di nuova vita.

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