Ancora nessuna traccia di Marco Raduano, il boss pugliese della Sacra Corona Unita evaso ieri dal carcere nuorese di massima sicurezza di Badu ‘e Carros

In cinquant’anni mai nessuno era riuscito a scappare da quella che fino a ieri era considerata la prigione più sicura d’Italia, dove scontano e hanno scontato la propria pena terroristi e mafiosi. Anche malavitosi del calibro di Renato Vallanzasca, Graziano Mesina e Raffaele Cutolo.

Quarant’anni, di San Giovanni Rotondo (Foggia), Raduano è scappato come nei film: calandosi da una fune formata con almeno cinque lenzuola annodate. Venti giorni fa era scattato l’ordine di esecuzione della pena a 19 anni, dopo che il 1 febbraio la Cassazione aveva rigettato il suo ricorso. 

In Sardegna è caccia all’uomo, con posti di blocco e controlli in tutti i porti e gli aeroporti.

«Appena la Polizia penitenziaria ci ha allertato dell'evasione, intorno alle 19, abbiamo avviato il piano anticrimine in provincia di Nuoro, avvisato tutte le Questure della Sardegna e la Polizia di frontiera nei porti e negli aeroporti dell'Isola - conferma il questore del capoluogo barbaricino Alfonso Polverino - C'è un enorme dispiegamento di forze di Polizia e di uomini in tutta la regione, mentre la Polizia penitenziaria di Nuoro lavora sul fronte interno attraverso l'analisi di telecamere della casa circondariale e testimonianze».

CHI È – Raduano, conosciuto anche come “Pallone” o “Woolrich”, è ritenuto un elemento di vertice dell’omonimo clan che opera a Vieste. Il “boss del Gargano” vanta una lunga carriera criminale e ha condanne che deve finire di scontare nel 2046 per traffico di stupefacenti con aggravante di mafia, omicidio, reati contro la persona, contro il patrimonio e in materia di armi e stupefacenti. Era in regime di alta sicurezza 3. Il 3 febbraio scorso gli era stata notificata una condanna diventata definitiva a 19 anni di reclusione, più tre anni di libertà vigilata, perché il ricorso in Cassazione era stato dichiarato inammissibile.

La pena è legata alla maxi operazione antimafia “Neve di Marzo”, coordinata dalla Dda di Bari e svolta dai militari di Vieste a ottobre del 2019 quando fu sgominata un'associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, aggravato dal metodo mafioso, che utilizzava anche armi da guerra.

LE REAZIONI – I sindacati rilanciano l'ennesimo allarme per le scarse condizioni di sicurezza in cui lavorano gli agenti di polizia penitenziaria. «Questa evasione nel disastrato sistema carcerario è l'ennesima conferma dell'inadeguatezza, anche dello speciale circuito definito ad alta sicurezza - denuncia Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria -. Abbiamo organici della Polizia penitenziaria carenti di 18mila unità, equipaggiamenti inadeguati, sistemi tecnologici ed elettronici inesistenti o non funzionanti. Questo mentre sin dall'insediamento del Governo siamo in attesa di essere convocati dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, o almeno dal sottosegretario Andrea Delmastro delle Vedove, che sembra preferire le gite nei territori e gli incontri “privati" a quelli ufficiali dei sindacati».

«Non abbiamo notizie certe di come possa essere avvenuta l' evasione - afferma Giovanni Villa, segretario regionale Fns Cisl - confidiamo nelle forze dell'ordine affinché l'evaso venga catturato il prima possibile». Per il segretario generale del Sappe, Donato Capece, «quel che è successo è di inaudita gravità ed è la conseguenza dello scellerato smantellamento delle politiche di sicurezze delle carceri». «È tempo di dichiarare lo stato di emergenza delle carceri - incalza il presidente dell'unione sindacati di polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti - Che il sistema penitenziario italiano sia un carrozzone allo sbando è un fatto certo e bisogna che qualcuno ne prenda atto».

(Unioneonline/D)

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