di ANDREA PIRAS

Un veleno subdolo. Senza odore, senza sapore. Non irritante. Un killer spietato capace di infliggere ferite terribili. Anche di uccidere. Lavora in silenzio, scacciando l'ossigeno dai tessuti del corpo umano per sostituirsi ad esso, il monossido di carbonio (Co), il gas responsabile ogni anno, in Italia, di migliaia di incidenti e numerosi decessi.

In Sardegna, negli ultimi dieci anni, i pazienti intossicati e trattati nei centri di medicina iperbarica dell'ospedale Marino di Cagliari e dell'ospedale Merlo di La Maddalena sono stati oltre 180. Di questi, ben 150 hanno dovuto ricorrere alla terapia negli impianti di viale Poetto per combattere le conseguenze drammatiche causate da un'esposizione più a o meno prolungata al monossido di carbonio. Un rapporto troppo ravvicinato con questo temibile gas prodotto da bracieri accesi, stufe e caminetti difettosi.

È accaduto pochi giorni fa, quando due coniugi di Flumini di Quartu di 69 e 74 anni sono stati ricoverati dopo essere rimasti per lungo tempo in una stanza dove un braciere acceso aveva consumato l'ossigeno. Era successo a fine dicembre a Villasimius, dove ancora il braciere lasciato acceso per scacciare il freddo della sera aveva costretto un'intera famiglia di Isili (padre, madre e due bimbi di sette e nove anni) al ricovero in camera iperbarica. Una stufa non perfettamente funzionante aveva invece provocato l'intossicazione da Co di una famiglia di Uta composta da genitori e quattro bambini.

«Anni fa erano soprattutto le classi più povere a restare intossicate dal monossido di carbonio prodotto da impianti e attrezzature di riscaldamento difettosi. Oggi le cose stanno cambiando. L'anno scorso abbiamo avuto diversi casi in cui i pazienti appartenevano a famiglie non economicamente disagiate. Probabilmente si sta abbassando la guardia e non si pensa che gli impianti di riscaldamento a rischio vadano controllati periodicamente», spiega Paolo Castaldi, primario dell'unità complessa di Rianimazione e medicina iperbarica del Marino. «Il monossido è un gas senza odore e per questo ancora più subdolo. Gli organi che vengono primariamente colpiti dall'avvelenamento sono il cervello e il cuore, e questo si deve al fatto che questi, utilizzando per i loro processi metabolici molto ossigeno, sono i più sensibili all'ipossia. I sintomi dell'intossicazione non sono specifici. Nelle esposizioni cosiddette lievi, si avverte cefalea, mal di testa, vertigini e sofferenze neuropsichiche. Nelle esposizioni gravi si arriva allo stato consufionale, alla perdita di conoscenza e alla morte».

Sono stati quindici i pazienti che nel 2009 hanno avuto bisogno di essere ricoverati all'ospedale Marino ed essere sottoposto alla terapia. «Proprio lo scorso anno - ricordano il primario Castaldi e Cesare Iesu, responsabile del servizio della medicina iperbarica - abbiamo notato un aumento degli incidenti. Il nostro centro opera ventiquattro ore su ventiquattro ed è in grado di dare risposte in emergenza in tempi rapidissimi. Opera con personale medico, sanitario e tecnico e in simbiosi con la terapia intensiva diretta dalla dottoressa Giuseppina Loria. Questo ci consente di garantire interventi di altissimo livello sostenendo le funzioni vitali respiratorie e cardiologiche anche all'interno della camera iperbarica». Non interrompere, in ultima analisi, la terapia in ossigeno compresso anche nel caso di complicazioni. «Esattamente come accade quando i nostri pazienti sono subacquei colpiti da malattie da decompressione e embolie gassose», precisa Paolo Castaldi, promotore per il 31 maggio di una giornata interamente dedicata alla medicina iperbarica in occasione del congresso nazionale Siared che si terrà a Villasimius. «Tre sale opereranno in contemporanea mettendo a fuoco la medicina subacquea, le patologie croniche come il piede diabetico e le ferite difficili e le patologie acute da monossido di carbonio», conclude il primario.
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