Quello iniziato ieri ad Algeri è, per il Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, molto di più di un normale viaggio di Stato. In ballo non c’è soltanto l’interlocuzione d’ufficio con il governo nord africano, teoricamente più vicino all’Occidente, ma a farla da padrone ci sono soprattutto i rapporti di forza tra Stati e affari, tra istituzioni e potentati economico-energetici, da sempre più influenti di ogni ministro o capo del Governo. La visita di due giorni ad Algeri, dunque, ha due variabili di non poco conto: può essere derubricata ad una banale formalità istituzionale, solo per suggellare affari e intessi di lobby economiche, oppure l’occasione per tracciare una nuova strategia italiana nello scacchiere del Mediterraneo. Giorgia Meloni in questa missione nel nord Africa si gioca molto del suo propagandato messaggio sovranista, da una parte, e di autonomia dai poteri forti dall’altra.

Prova dei fatti 

La prova dei fatti in Algeria ha dossier scottanti, tutti in standby da tempo, come se l’Italia avesse il timore di affrontarli per non urtare la suscettibilità da una parte dell’Algeria e dall’altra dell’Eni. La chiave di volta di questo viaggio è sempre l'Eni. Lo sanno anche le pietre: l’Ente energetico che fu di Enrico Mattei in Algeria decide tutto, in nome e per conto dello Stato italiano. L’immagine più eloquente sono gli ultimi viaggi di Draghi e Di Maio in Algeria, entrambi presi per mano, uno per volta e insieme, portati di fatto a passeggio, dall’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi che ha imbeccato, forse meglio dire dettato, ogni mezza parola dei vertici del governo. Insomma, gli ha scritto per filo e per segno quello che dovevano dire e, soprattutto, quello che non dovevano dire.

Premier o Descalzi

Giorgia Meloni ha il consenso politico e parlamentare per imporre una propria linea, ma il fatto stesso che venga accompagnata in questo primo viaggio in Algeria proprio da Descalzi, buono per ogni stagione politica, lascia intendere che i margini di manovra del Premier potrebbe essere ridotti al lumicino. Se l’agenda di Palazzo Chigi l’ha scritta l’Eni è difficile che si possa andare oltre la celebrazione di qualche ulteriore elemosina di gas dal nord Africa verso I’Italia, utilizzando come unica via di accesso con la Sicilia il metanodotto in mano all’Eni, una sorta di dogana energetica, dove si regola non solo la distribuzione ma anche, e soprattutto, il prezzo del metano proveniente dal principale esportatore dall’Africa, la Sonatrach, l’Eni algerina. In ballo ci sarebbe anche un accordo per produrre le Fiat di Stellantis nel nord dell’Algeria, una sorta di delocalizzazione automobilistica benedetta da Italia e Francia, spacciata come crescita e investimenti del fatturato dell’auto. In realtà si andrà a produrre auto in Africa, con tutto quello che comporta, sia sul piano economico, finanziario e occupazionale. Il tema dell’energia, però, sarà centrale a partire dal ruolo dell’Algeria nello scacchiere internazionale, a partire dai rapporti mai nascosti con la Russia di Putin, in particolar modo sul versante militare. Nella due giorni algerina il tema, se non ci fosse l’Eni di mezzo, sarebbe centrale e richiederebbe un chiarimento profondo tra la sponda africana e quella europea del Mediterraneo. Nelle scorse settimane, per esempio, sia l’Europa, con il commissario europeo per l’Energia, che con il governo tedesco si è apertamente parlato di connettere strutturalmente, comprese le infrastrutture, l’Algeria con l’Europa e la Germania, con la realizzazione di una partnership in grado di blindare il ruolo del nord Africa nei rapporti con l’Occidente.

Ue & Germania pro Galsi

In questa direzione sia Europa che Germania hanno accolto con favore il progetto rilanciato dal governo algerino ai massimi livelli per realizzare il Galsi, il metanodotto Algeria - Sardegna – Italia – Europa con il duplice obiettivo di aumentare le forniture di gas dopo la guerra Russia-Ucraina e realizzare la più avanzata infrastruttura energetica al mondo già pronta per trasportare idrogeno verde. C’era da aspettarsi, dunque, che questo tema fosse il primo punto dell’agenda italiana nel vertice che si conclude oggi ad Algeri con l’incontro tra il premier italiano e quello algerino. In realtà, su questo versante, si registra il totale silenzio del fronte italiano con l’Algeria che ha ripetutamente rilanciato il progetto. La più importante agenzia specializzata sull’energia in lingua araba, Attaqa.net, ha rilanciato proprio le dichiarazioni del Ministro dell’Algeria per l’Energia, Mohamed Arkab, con le quali ha ribadito che il suo Paese «è attualmente al lavoro per riconsiderare il rilancio di un nuovo studio relativo alla costruzione del gasdotto Sardegna-Galsi, con specifiche e standard tecnici che possano adattarsi alle future operazioni di esportazione di idrogeno e ammoniaca verso l'Europa in generale e la Germania in particolare».

Opec, i potenti del mondo

È stato lo stesso ministro Arkab, nel corso dell'Energy Day algerino-tedesco, alla vigilia del Natale scorso, ad affermare che «l'uso del gasdotto sarà inizialmente dedicato adr esportare quantità aggiuntive di gas algerino verso l'Europa, fino a un mercato reale e competitivo per l'idrogeno verde». Sul ruolo del Galsi ha preso posizione anche l’OPEC, la potentissima Organizzazione dei paesi arabi esportatori di petrolio. Per l’organizzazione mondiale ha parlato nelle ultime settimane Wael Hamed Abdel Moaty, ingegnere ed esperto delle industrie dell'idrogeno e del gas: «Il gasdotto Sardegna è un progetto importante che mira a fornire gas algerino alla Sardegna, Italia, con una capacità di 8 miliardi di metri cubi all'anno, pari all'80% del capacità del gasdotto Medgas che collega l'Algeria e la Spagna, oltre alla sua posizione strategica, in quanto è uno dei percorsi più brevi verso l'Europa. Se il Galsi verrà, poi, convertito per funzionare con idrogeno pulito, può trasportare l'equivalente di 2,5 milioni di tonnellate di idrogeno all'anno, il che lo rende uno dei più grandi progetti di esportazione attraverso pipeline in Europa». Le previsioni dell’Opec peseranno non poco sul tavolo di oggi ad Algeri tra la Meloni e il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune. Aggiunge l’esperto dell’organizzazione mondiale: «Poiché il progetto dell'oleodotto Galsi è stato rilanciato, l'Algeria sarà in grado di coprire circa il 25% delle future importazioni di idrogeno dell'Europa entro il 2030, il che significa che stabilirà la posizione dell'Algeria come uno dei principali fornitori sostenibili di energia di tutti i tipi (gas, idrogeno ed elettricità) nel mondo».

Silenzio italiano

Le fonti ufficiali italiane, per il momento, su questa opportunità che metterebbe la Sardegna e l’Italia, al centro di una connessione energetica modernissima capace di trasportare prima gas e poi idrogeno, non si pronunciano. In realtà, ancora una volta, sembra essere proprio l’Eni ad imporre al Governo, anche a questo appena insediatosi a guida Meloni, la linea da seguire. Bisognerà comprendere se le influenze Eni, come è capitato anche in passato, tenteranno di richiudere negli armadi di Stato algerini e italiani quel progetto, con l’intento di non disturbare il monopolio del gas in Italia. Prevarrebbe una visione miope della strategia energetica proiettata non verso l’idrogeno, ma a rafforzare il potere speculativo sul metano con un’equazione elementare: con un solo metanodotto, in mano all’Eni, si può gestire con più facilità il costo del metano, soffocando sul nascere qualsiasi metanodotto concorrenziale con quelli in mano all’ente di Stato.

Lo scippo del mare sardo

Sul tavolo di Algeri non dovrebbe arrivare nemmeno l’annosa questione legata all’imposizione della Zona Economica Esclusiva algerina sul mare sardo. A marzo del 2018, infatti, l’Algeria aveva notificato alle Nazioni Unite l’istituzione di una propria e totale sovranità sul mare confinante con le acque territoriali della Sardegna. In pratica occupando manu militari le acque dal nord Africa sino all’altezza di Bosa. Il Governo italiano, da quasi due anni, ha un mandato legislativo approvato dal parlamento, per istituire una propria zona economica esclusiva per tutelare quelle acque. Spetta al Presidente del Consiglio italiano istituirla con un proprio decreto che deve essere, poi, controfirmato dal Presidente della Repubblica Mattarella. Ne va della sovranità italiana in quelle acque che sono state di fatto occupate da uno Stato straniero, a due passi dalla Sardegna. Per adesso niente si muove. Non è da escludere che anche questa volta sia la longa manus dell’Eni ad aver suggerito ai vertici del Bel Paese di non disturbare l’Algeria. Ancora una volta paga l’Isola, destinata a restare senza energia, senza metano, senza idrogeno e persino senza mare. Sempre che il Premier decida di lasciar fare all’Eni.

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