Ad Arbus è iniziata la conta dei danni dopo il devastante incendio che per più di 30 ore ha messo in ginocchio il paese, colpendo il suo cuore turistico, ambientale e agropastorale. Sono 43 le aziende rimaste senza acqua per dissetare gli animali e senza cibo per nutrirli. Non c'è fieno e non c'è pascolo. Compromessa la stagione balneare: arrivano le disdette, fermo il flusso delle prenotazioni. Intanto scatta la gara di solidarietà in soccorso di allevatori e pastori. E c'è voglia di ricominciare. "Noi ci siamo. Il bosco ricrescerà. Le strutture saranno ricostruite. Sono sardo e testardo", dice un imprenditore, Andrea Armas, 36 anni.

I DANNI - Sono ingenti e, secondo le prime ipotesi, si aggirerebbero intorno ai 10 milioni di euro. Devastati tremila ettari di boschi, in prevalenza sugherete e leccete; arsi vivi pecore, capre, maialetti, cinghiali, cani e galline; distrutte le recinzioni delle aziende; saltato l'impianto elettrico: black-out ovunque e pali Enel a terra; cinque strutture ricettive chiuse; richieste di aiuto tante. L'emergenza è planata sul tavolo del sindaco, Antonello Ecca. "Gli uffici - racconta il primo cittadino - hanno iniziato a quantificare i danni. I primi dati, comunque, sono allarmanti. Oltre ai tremila ettari di boschi andati in fumo, ci sono le perdite indirette, difficili da quantificare. Penso alla stagione turistica, al calo delle presenze quando era previsto il boom di arrivi sul nostro litorale".

GLI IMPRENDITORI - "Il giorno dopo l'incendio - dice Marco Saba, titolare dell'agriturismo La Quercia - ho ricevuto 30 disdette. Il fuoco fa paura e noi ne paghiamo le conseguenze. Ho perso il verde che circonda il locale, ho salvato le case. Lo devo ai volontari che hanno rischiato con me nelle operazioni di spegnimento.». Sulla stessa linea Andrea Armas: "Oltre all'agriturismo Sa Pintadera, gestisco un servizio di escursioni guidate in quad, sono arrivate le prime disdette. Non mi arrendo. Dateci i mezzi per fronteggiare gli incendi. Noi conosciamo il territorio, sappiamo come muoverci. Queste non sono calamità naturali. Sono mani assassine. Devono pagare".

GLI ALLEVATORI - Storie diverse con un denominatore comune: pronti a morire pur di salvare l'azienda. "C'era già l'inferno - racconta Antonio Borgia - quando ho cercato di portare in salvo le pecore e le capre. Sono stato bloccato da persone in divisa. Non ho dato retta: 180 capi salvi. Sarebbero morti tutti. Mi sono ustionato le braccia. Guarirò. Non potevo far morire chi mi dà da mangiare".

LA POLITICA - Ieri a Gonnosfanadiga e Arbus ha fatto un sopralluogo l'assessore regionale all'Ambiente, Donatella Spano, che ha incontrato i sindaci dei due paesi. Dal Parlamento alla Regione, si sollecitano interventi.

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