Armando è un vecchietto sottile e pulito, ottant'anni (forse di più) e nemmeno un dente. Sorride, tende la mano e abbraccia chiunque entri nel reparto. Nel frattempo farfuglia parole incomprensibili per i non addetti ai lavori. Ma proprio quelle parole sono considerate un miracolo: perchè Armando, che ha vissuto trent'anni nel manicomio di Cagliari, non aveva mai parlato prima. Ha cominciato a farlo poco tempo fa, quando un medico gli ha prestato un telefonino.

Fa parte della gigantesca risacca umana che s'è arenata dopo la legge sulla chiusura degli ospedali psichiatrici. Armando e gli altri (un centinaio) si sono ritrovati fuori dal manicomio nella primavera del '97: ad assorbirli ha pensato l'Aias aprendo case protette un po' ovunque. Quella che Armando divide con altri diciannove malati è al Poetto, di fronte al mare.

A reclutare i pazienti in uscita dal manicomio è stato uno psichiatra che, in un passato non proprio remotissimo, ha lavorato in un ospedale pubblico (a Ozieri) e in una clinica privata per matti con solido reddito alle spalle. Si chiama Antonio Brundu, ha 69 anni e confessa con qualche imbarazzo anche una specializzazione in anestesia: "Per fare l'elettroshock bisognava averla". Quanti? "Ne ho fatto un migliaio, non di meno. Mi considero un pentito dell'elettroshock". Oggi esibisce con soddisfazione la sua squadra di naufraghi. Uno di loro ha passato i novant'anni. Il segreto? "Basta farli vivere come noi, basta che abbiano una vita normale".
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