Quale possa essere (o si voglia che sia) la Sardegna nel futuro prossimo venturo, appare una previsione piuttosto oscura. Né aiutano a chiarirlo le diverse forze politiche che hanno già iniziato, pur con le loro fumisterie divisorie, le grandi manovre per le ormai prossime elezioni regionali di febbraio. Fra poco più di tre mesi.

Non v'ha dubbio che nella loro agenda di lavoro abbiano trovato, in primo piano, l'immagine di un'isola immersa in un profondo buio, debilitata da una crisi ultradecennale che ne ha sconvolto tutti gli equilibri, da quelli sociali a quelli territoriali, da quelli economici a quelli demografici. Una Sardegna purtroppo incapace, anche per profonde fratture interne, di campanile e di corporazione, di trovare quell'unità d'intenti che i nostri padri sintetizzarono nel celebre motto di "forza paris".

Per questo si vorrebbe (o, almeno, si auspicherebbe) che alla competizione elettorale s'arrivasse con dei programmi e degli impegni ben definiti.

Certo, i problemi da affrontare sono tanti, proprio perché da troppi anni si è andati avanti con le sole somministrazioni di semplici palliativi, senza peraltro tentare di ricercare e di eliminare le cause di quelle pesanti malfunzioni generatrici di sofferenze, di ritardi e di forti disagi.

Le cronache sono davvero impietose su questo: su ogni argomento ci si è divisi, contrapposti, lacerati anche da vendette e da agguati fratricidi. Con protagonisti principali i raggruppamenti politici. Le stesse coalizioni, sorte per conquistare il potere, sono parse essere, come si suole dire, "di burro", pronte a dividersi su qualsiasi scelta, fosse anche la più banale.

C’è in tutto questo una sorta di maledizione che viene da un lontano passato, da quella cultura che è stata marcatamente bipolare e duale, che ha visto contrapporsi sempre due visioni antitetiche, fosse quella più antica tra pastorizia e agricoltura, o quella, più recente, tra rendite da vantaggi e profitti da impresa.

Con un’identità di fondo che si potrebbe sintetizzare nel dualismo tra una resistenzialità alla tradizione ed un’ambizione al cambiamento.

In questa società bipolare - e fortemente antitetica - avrebbe sempre prevalso (questo è il mio giudizio) l’esuberanza ideologica di quella cultura del passato che trova la sua copertura ideale nel mito.

Anche la stessa intellettualità contemporanea, quella che dovrebbe essere la guida culturale dell’isola, la si nota schierata in gran parte a sostegno di quella costante resistenziale che demonizza e aborrisce ogni tentativo di cambiamento.

Si tratta proprio di quella maledizione del passato, a cui si è fatto cenno, e che continua a condizionare ogni scelta ed ogni opzione modernizzante ed innovativa. E che va determinando l’impoverimento progressivo, per via di continue emigrazioni, della dotazione del giovane e più preparato capitale umano dell’isola.

C’è dunque, nel futuro prossimo della Sardegna, una "questione culturale" da dover affrontare con decisione e coraggio. Eliminando dalla cultura progressista quelle timidezze e quelle incertezze che l’hanno sempre subordinata a quella passatista.

Quel che è accaduto con il flop dell’ultima legge urbanistica è fortemente esemplificativo di questa subordinazione. Ed è avvenuto esattamente per via dell’implosione di quella testarda difesa dello statu quo territoriale e della natura incontaminata e, per converso, dell’umiliante sconfitta d’ogni tentativo di modificazione antropica, teso a coniugare il rispetto dei valori ambientali con il coraggio della valorizzazione intelligente.

C’è dunque la necessità impellente di superare i miti antistorici del passato come le pesanti remore del presente, rifondando una cultura dello sviluppo che trovi la sua triade di "fundamentals" nell’innovazione, nella conoscenza di nuovi saperi e, soprattutto, nel coraggio d’imporsi.

Si tratta di valori dell’intelligenza che dobbiamo riuscire ad imporre. È un’operazione non più differibile. Altrimenti il futuro rimarrà ancora in un profondo buio.

Paolo Fadda

Storico e scrittore
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